L’Europa è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina nella capacità di sviluppare innovazione tecnologica e, in particolare, nelle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale. Usiamo queste tecnologie – e lo facciamo in misura crescente – ma non le creiamo, e questo preoccupa governi e imprese. Il tema, messo in evidenza dal recente Rapporto sulla competitività presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea, ha suscitato grande interesse tra i CIO italiani, come si evince dai commenti postati sui social media e dalle interviste che CIO Italia ha condotto. I nostri manager dell’IT sentono molto vicino il tema della capacità (o mancata capacità) di fare innovazione e condividono – pur se tra punti di vista diversi – la necessità di un cambiamento radicale.
Ovviamente, è la politica che si occupa di definire strategie e regole e di mettere in campo gli investimenti per la tecnologia, ma anche le imprese, nel concreto, definiscono la direzione che l’innovazione prende in un determinato Paese. Il Rapporto Draghi – che contiene analisi dettagliate e suggerimenti per l’UE su come migliorare la propria competitività agendo su alcune direttrici chiave, tra cui la digitalizzazione – lega da vicino innovazione e capacità di competere.
“Il Rapporto centra in modo chiaro l’importanza dell’innovazione tecnologica reputandola un fattore di crescita strategico per l’Europa. E per l’Italia direi che lo è ancora di più”, afferma Vincenzo Pensa, Direttore Sistemi informativi e innovazione di ACI (Automobile Club Italia).
“Il rapporto Draghi dà il giusto risalto al ruolo dell’innovazione, e delle tecnologie digitali in particolare, nel promuovere la competitività europea. Ne è un esempio l’ampio cenno che si fa alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale nel capitolo sulla governance per ridurre gli oneri burocratici e aumentare l’efficienza amministrativa”, è il commento di Stefano da Empoli, presidente di I-Com Istituto per la competitività.
Il rapporto di Draghi pone l’accento sul gap di innovazione dell’Europa. Il digitale rappresenta il fattore chiave nel nostro divario. Siccome, afferma lo studio, la crescita demografica europea è negativa, la domanda interna e l’aumento di produttività devono far leva necessariamente sulla produttività trainata dallo sviluppo delle tecnologie emergenti. Oggi i dati sono sconfortanti: circa il 70% dei modelli AI di base è stato sviluppato negli Usa e tre hyperscaler statunitensi rappresentano oltre il 65% del mercato cloud globale ed europeo, mentre il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo il 2% del mercato UE. Inoltre, prosegue il report, il calcolo quantistico sarà la prossima grande innovazione, ma 5 delle prime 10 aziende tecnologiche a livello mondiale in termini di investimenti quantistici hanno sede negli Usa, 4 in Cina e nessuna nell’UE.
Innovazione e intelligenza artificiale, per i CIO sono temi “caldi”
Particolare rilievo viene dato nel Report all’intelligenza artificiale. L’ex primo ministro italiano Draghi la inserisce tra le tecnologie emergenti su cui è necessario che l’Europa sviluppi una propria rilevanza, visto che l’AI si lega da vicino alla capacità dell’UE di fare innovazione e di rimanere protagonista nello scacchiere economico e politico globale. Il rischio è di dipendere dagli altri Paesi dove si produce la tecnologia che l’Europa si limita a usare. In questo contesto sono calzanti i dati emersi dal recente “EY Italy AI Barometer” realizzato da EY, che ha coinvolto oltre 4700 manager di 9 Paesi europei, di cui 528 professionisti di imprese italiane in diversi settori. Oltre tre quarti dei rispondenti italiani (77%) afferma di avere un’esperienza diretta con l’AI, soprattutto nella vita privata e, in seconda battuta, nel contesto lavorativo. Il 24% dei rispondenti afferma che l’AI sta già influenzando il suo lavoro (più della media europea, ferma al 19%) e il 46% prevede un incremento nei prossimi tre anni dell’impatto delle applicazioni AI nel business. Inoltre, l’AI è tra le priorità di investimento del prossimo anno per 1 azienda su tre.’
“Per quanto riguarda innovazione e AI emergono tre punti, forse scontati ma ben articolati: l’Europa è indietro, l’intelligenza artificiale è una tecnologia fondamentale per il futuro, essenziale per integrare l’innovazione nelle industrie esistenti e mantenere la competitività, ed è importante sviluppare competenze digitali e di AI in Europa per sfruttare appieno le potenzialità di queste tecnologie”, commenta Francesco Ciuccarelli, CIO di Alpitour World. “Sull’AI, il Rapporto Draghi è una decisa ‘wake up call’ ricca di spunti operativi, che dovrebbe ispirare le politiche dei governi dei paesi membri e le azioni delle aziende che operano a vario titolo nel campo”.
Ciuccarelli appartiene alla schiera dei CIO entusiasti sulle potenzialità dell’AI e che credono nella portata trasformativa di questa tecnologia. Non tutti i CIO, però, condividono questa posizione.
“Sulla connessione tra competitività e AI sono d’accordo solo parzialmente, perché l’intelligenza artificiale allo stato attuale è una leva ‘giovane’, deve ancora dimostrare la sua maturità e applicabilità su vasta scala per soluzioni Enterprise”, afferma Michele Panigada, CIO di Edenred. “A livello di produttività personale, invece, è sicuramente una leva competitiva”.
Che cosa dice il Rapporto Draghi sulla competitività
Mario Draghi ha ricevuto l’anno scorso l’incarico da parte della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di predisporre un rapporto su “Il futuro della competitività europea” [in inglese]. Il report parte dai dati sul ritardo europeo nella crescita economica e l’ampio divario nel PIL che si è aperto negli scorsi dieci anni tra UE e Stati Uniti. Il trend, sostiene Draghi, si può ribaltare facendo crescere la produttività e questa aumenterà solo gestendo tre grandi trasformazioni: digitalizzazione, decarbonizzazione e cambiamenti geopolitici. Nel primo caso, occorre colmare il divario di innovazione nei confronti di Usa e Cina: per Draghi, l’innovazione permetterà all’Europa di mantenere la leadership manifatturiera e di sviluppare nuove tecnologie d’avanguardia. In particolare, l’intelligenza artificiale offre all’UE un’occasione importante per correggere i suoi fallimenti in termini di innovazione e produttività (solo 4 delle prime 50 aziende tecnologiche al mondo sono europee).
L’Europa – prosegue il report – ha ancora l’opportunità di sfruttare a proprio vantaggio le future evoluzioni della tecnologia, a cominciare dall’AI generativa, dove le aziende europee possono ritagliarsi una posizione di leadership in alcuni segmenti, integrando verticalmente l’intelligenza artificiale nell’industria per far salire la produttività. Ma, per riuscire, l’Europa deve emergere dalla sua struttura industriale statica, con bassi investimenti e bassa innovazione, che la relegano nell’ambito delle tecnologie di mezzo, ovvero non veramente dirompenti, e le danno scarsa capacità di passare alla commercializzazione delle nuove idee. L’analisi sottolinea come i primi 3 investitori in ricerca e sviluppo in Europa siano aziende automobilistiche, mentre negli Usa ciò accadeva negli anni 2000, mentre oggi i primi 3 investitori in R&S in America sono aziende tecnologiche. L’Europa sembra rimasta indietro di venti anni.
Il rapporto afferma anche che in Europa non c’è un buon funzionamento dei cluster di innovazione, che integrano reti di università, startup, grandi aziende e venture capitalist, che dovrebbero alimentare la crescita economica. L’Europa, infatti, non ha nessun cluster di innovazione tra i primi 10 a livello globale, mentre gli Usa ne hanno 4 e la Cina 3. A ciò si aggiungono la frammentazione del mercato unico e gli ostacoli normativi e giurisdizionali, per cui, tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% degli unicorni (startup cresciute fino ad essere valutate almeno un miliardo di euro) fondati in Europa hanno trasferito la loro sede all’estero, la maggior parte negli Stati Uniti. Nelle norme, l’UE tende troppo a un approccio precauzionale con norme ex ante, anziché ex post, un altro ostacolo, secondo Draghi, all’innovazione.
Il rapporto chiede ancora all’UE di aumentare la capacità di calcolo dedicata all’addestramento e allo sviluppo algoritmico dei modelli di AI nei centri HPC (high performance computing) e di finanziare l’espansione del progetto europeo pubblico-privato EuroHCP con ulteriori capacità cloud e di archiviazione per supportare l’addestramento dell’AI in più sedi. Draghi ritiene utile anche sviluppare un modello federato di AI basato sulla cooperazione tra infrastrutture pubbliche e private. L’UE dovrebbe promuovere la condivisione dei dati per accelerare l’integrazione dell’AI nell’industria europea e le aziende dell’UE dovrebbero essere incoraggiate a partecipare a un Piano di priorità verticale per l’AI per accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in dieci settori strategici: automotive, manifattura avanzata e robotica, energia, telecomunicazioni, agricoltura, aerospazio, difesa, previsioni ambientali, farmaceutica e sanità.
Sul cloud, dove dominano i fornitori statunitensi, il rapporto raccomanda di adottare politiche di sicurezza dei dati a livello europeo per la collaborazione tra fornitori di cloud dell’UE ed extra-UE.
Perché ai CIO deve interessare il dibattito europeo
Per Ciuccarelli di Alpitour World, il Rapporto Draghi è molto interessante per i CIO che fanno innovazione nella loro azienda.
“Secondo me il report è giustamente critico sul tema della normativa, perché c’è una contraddizione da parte dell’Europa che vuole, da un lato, essere un’avanguardia in questo ambito, ma che, dall’altro, ha un oggettivo problema di competitività. Non a caso l’AI Act mette l’accento sulle sandbox regolatorie dove si può fare innovazione in modo controllato. Strumenti del genere servono molto alle aziende, soprattutto a quelle più piccole e alle startup, per sviluppare innovazione. Noi, in Alpitour World, agiamo così”.
Per Ciuccarelli sono corrette le misure suggerite da Draghi per creare un ambiente in cui l’AI possa svilupparsi efficacemente, ovvero “incentivare l’innovazione attraverso investimenti pubblici e privati più robusti, accompagnati da incentivi fiscali focalizzati sulle startup dell’AI; facilitare la collaborazione tra Università, centri di ricerca e industrie, per trasferire rapidamente le innovazioni dal laboratorio al mercato; potenziare la formazione e lo sviluppo di competenze digitali e di AI, attraverso programmi aggiornati e accessibili; ridurre i costi di sviluppo dell’AI mettendo a disposizione e sviluppando ulteriormente la capacità degli HPC europei (come Leonardo gestito da CINECA)”.
Un tema evidenziato dal Rapporto Draghi è, infatti, la cooperazione tra i centri di ricerca e le imprese sulle tecnologie. Secondo Ciuccarelli, “CINECA sta conducendo un buon lavoro sull’AI e noi lo stiamo sperimentando direttamente, partecipando con CINECA alla call europea per sviluppare modelli AI aperti per indirizzare tematiche verticali e ovviamente ci siamo focalizzati sulle applicazioni per il turismo. Occorre unire le forze e fare sistema, soprattutto considerato che servono tanti investimenti, non possiamo non agire come parte della comunità europea. Il trasferimento di esperienze e la partecipazione alle call europee richiedono tempo e impegno da parte delle imprese, ma sono utili per sperimentare e innovare. Noi di Alpitour World, anzi, abbiamo intenzione di attivarci con AUSED per far conoscere più diffusamente alle imprese bandi e iniziative dell’UE, come il Patent Box europeo, o anche quelle italiane, come il piano Transizione 5.0. Sono tutte cose che un CIO deve sapere e cui si deve interessare”.
Come fare innovazione in Italia oggi
Molti CIO concordano sulle opportunità fornite dai piani di incentivi italiani o comunitari, ma quanto è veramente proficua la co-innovazione con centri di ricerca e startup? Per Panigada di Edenred, “È difficile trovare nel mondo accademico idee realmente applicabili in una realtà Enterprise”.
Sulle competenze, poi, non tutti sono d’accordo sul ritardo italiano. Per Lucio D’Accolti, CIO di AMA, “Piuttosto siamo in ritardo per alcune logiche applicative”.
Altri CIO, inoltre, chiamano in causa i big americani che dominano il mercato, affermando che l’innovazione dipende anche dalla sovranità digitale in ambito cloud, sulla quale molto è stato demandato ai big americani in termini di servizio. La supremazia delle infrastrutture è diventata anche supremazia dei modelli e dei dati e per contrastare il trend servono investimenti enormi che solo un’Europa unita può pensare di mettere in campo, affermano in molti.
Ma, anche se snellire le procedure potrebbe aiutare la crescita delle piccole imprese innovative, per Panigada le norme sono necessarie: “Ridurre le regole credo sia una risposta semplice (e semplicistica) ad un problema più complesso”, afferma il CIO di Edenred.
Quanto ai fondi necessari per costruire la competitività e la capacità innovativa europea, Draghi indica la necessità di incrementare gli investimenti per circa il 5% del PIL complessivo dell’UE perseguendo gli obiettivi di digitalizzazione, decarbonizzazione e rafforzamento della capacità di difesa. Uno sforzo enorme e, per il presidente di I-Com, da Empoli, il Rapporto Draghi è pregevole anche per il fatto che “non usa alcuna remora per criticare le politiche passate o anche attuali, come Horizon Europe e la strategia per le competenze”. Al tempo stesso, aggiunge da Empoli, “È vero che dovrebbero essere messe in campo risorse straordinarie, fino a 800 miliardi l’anno tra fondi pubblici e privati, per invertire il declino degli ultimi trenta anni in tutte le aree toccate dal rapporto, ma molto si può fare a bilancio invariato, orientandolo verso priorità più impattanti (come per esempio l’innovazione) ed evitando di disperdere i fondi verso mille rivoli”.
La necessità di procedere uniti, superando la frammentazione, è espressa da molti CIO: soprattutto gli “entusiasti” dell’intelligenza artificiale, del quantum computing e delle altre tecnologie emergenti sottolineano che l’Italia e le sue imprese non possono mettere in campo da sole le risorse necessarie per diventare competitive, ma devono necessariamente avere uno sguardo allargato all’Unione Europea.
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