Con l’avvio, nel mese di agosto, della Piattaforma Informatica per la “presentazione delle comunicazioni preventive dirette alla prenotazione del credito d’imposta Transizione 5.0”, si è aperta l’attuazione del Piano del Governo italiano che stanzia 6,3 miliardi di euro (dal programma RePower EU) alle imprese per progetti a sostegno delle transizioni “gemelle” “digitale” ed “ecologica”. Si tratta di una misura molto attesa: secondo l’Osservatorio MECSPE (la principale fiera in Italia per l’industria manifatturiera, organizzata da Senaf), il 26% degli imprenditori della manifattura pensava, nel primo quadrimestre dell’anno, di presentare richiesta per gli incentivi. Aumento della produttività (59%), monitoraggio e controllo dell’impianto produttivo (54%), miglioramento della strumentazione tecnologica (46%) e delle condizioni di lavoro (33%) sono i principali benefici del Piano 5.0 che pensano di ottenere le imprese che hanno già usufruito degli incentivi statali 4.0. Anche i CIO guardano al Piano con grande interesse.
“Gli interlocutori delle nostre indagini sono principalmente imprenditori, direttori generali e decision maker. Tuttavia, all’interno dei profili delle aziende che visitano MECSPE ci sono anche i CIO, che, con la transizione digitale in essere, sono figure sempre più chiave nelle aziende”, evidenzia Maruska Sabato, Project Manager di MECSPE. “Negli ultimi anni, infatti, i paradigmi Industria 4.0 e 5.0 hanno messo in evidenza quanto sia importante per le imprese integrare la digitalizzazione nella loro operatività. Per questo, nella nostra fiera, la cui prossima edizione si terrà a Bologna il 5-7 marzo 2025, abbiamo un intero settore dedicato alla Fabbrica Digitale e alle innovazioni del settore: l’impianto produttivo intelligente rappresenta il cardine dell’industria del futuro, dove tecnologia e business sono sempre più interconnessi”.
Il Piano 5.0 è molto incentrato anche sulla sostenibilità, ormai diventata un elemento imprescindibile dell’innovazione. Qui le aziende italiane possono ancora fare molto, prosegue Sabato: “Questi specifici incentivi permetteranno a chi li richiede di ottimizzare le risorse in un’ottica sostenibile, in particolare attraverso nuovi strumenti tecnologici e competenze green, così da rimanere competitivi in un mercato globale sempre più consapevole. Credo che le aziende italiane dovrebbero sfruttare al massimo le opportunità offerte dallo Stato, perché è soltanto unendo innovazione tecnologica e sostenibile che si compie la Transizione 5.0”.
Transizione 5.0, l’evoluzione rispetto a Industry 4.0
Giuseppe De Vivo, CIO e ICT Manager di Rinaldi Group e membro del CIO Club Italia, definisce il Piano Transizione 5.0 del governo una “versione aggiornata di Industria 4.0”. Rinaldi è tra le imprese manifatturiere che ha usufruito degli incentivi 4.0 e che ora pensa di cogliere le opportunità del nuovo piano.
“La logica degli incentivi è la stessa, anche se il focus è spostato sull’ambiente, l’efficientamento energetico, il monitoraggio e la formazione delle persone con un connubio ambiente-uomo”, afferma De Vivo, “mentre Industria 4.0 era più centrato sulla digitalizzazione e l’introduzione dell’automazione nelle fabbriche”.
Come si legge sul sito del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il Piano Transizione 5.0 è complementare al Piano Transizione 4.0 (che gode di ulteriori 6,4 miliardi) e si inserisce in una più ampia strategia finalizzata a sostenere il processo di trasformazione digitale ed energetica delle imprese. La misura consiste in un’agevolazione sotto forma di credito d’imposta proporzionale alla spesa sostenuta per nuovi investimenti in strutture produttive effettuati nel biennio 2024-2025.
La riduzione dei consumi energetici (non inferiore al 3% nella struttura produttiva o, in alternativa, non inferiore al 5% nei processi interessati) deve conseguire da investimenti in beni materiali e immateriali funzionali alla transizione tecnologica e digitale delle imprese secondo il modello “Industria 4.0”.
Tra questi beni rientrano, tra gli altri, “i software, i sistemi, le piattaforme o le applicazioni per l’intelligenza degli impianti che garantiscono il monitoraggio continuo e la visualizzazione dei consumi energetici e dell’energia autoprodotta e autoconsumata o introducono meccanismi di efficienza energetica, attraverso la raccolta e l’elaborazione dei dati anche provenienti dalla sensoristica IoT di campo”, e i software relativi alla gestione di impresa se acquistati unitamente ai precedenti. Questo vuol dire che si può godere di incentivi acquistando congiuntamente, per esempio, i software che monitorano i consumi energetici e quelli per la gestione d’impresa (come gli ERP).
Il ruolo centrale della formazione
Per Stefano da Empoli, presidente di I-Com, l’Istituto per la Competitività, il Piano Transizione 5.0 emerso dal decreto Mimit è “un passo in avanti rispetto alla prima configurazione annunciata all’inizio dell’anno” e gli incentivi che garantisce sono, in via generale, interessanti. Ma forse si poteva fare di più sulla formazione: l’aggiornamento delle competenze ICT delle aziende è la base di qualunque transizione, digitale o green, e il piano del Governo poteva essere più ambizioso.
“Nel decreto attuativo la formazione sui temi della transizione digitale ha assunto pari dignità a quella per la transizione ecologica, e questo è un aspetto positivo. Ma rimane limitativa la quota prevista per questa spesa: entro il 10% degli investimenti effettuati nei beni strumentali e per un massimo di 300 mila euro, quando cloud, intelligenza artificiale e AI generativa ci insegnano che la spesa maggiore per perseguire l’innovazione in azienda è proprio quella in capitale umano”, afferma da Empoli. “Nei progetti di transizione la parte di formazione è molto importante rispetto all’acquisto di beni, che per alcune aziende, come quelle della manifattura, è una voce molto rilevante, ma in tante altre non è così cospicua. Occorrerebbero più strumenti per accompagnare il reskilling e l’upskilling dei lavoratori ICT”.
Per da Empoli c’è un’altra lacuna nel piano: quella delle attività di orientamento all’investimento. Non tutte le imprese sono strutturate a sufficienza da avere un CIO che le guida nella spesa in tecnologie per le transizioni digitale ed ecologica, e potenziare i Centri di competenza e i Digital innovation hub sarebbe stato utile per indirizzare soprattutto le Piccole e medie imprese. Anche fattivamente: per le Pmi, infatti, potrebbe essere più complesso effettuare la certificazione ex ante dell’efficienza energetica prevista dagli investimenti digitali che va inviata al Gestore dei servizi energetici (GSE).
L’IT protagonista anche della transizione green
Nella messa a punto finale del Piano Transizione 5.0 il Governo ha, tuttavia, cercato un migliore equilibrio tra digitale e green e una maggiore semplificazione delle procedure burocratiche e il CIO De Vivo pensa che le opportunità da cogliere non manchino.
“L’IT è protagonista, perché all’efficientamento energetico si legano sempre le implementazioni tecnologiche. Pensiamo al ruolo centrale del GSE e delle verifiche dell’impatto che si produce sull’ambiente: questo vuol dire che le imprese devono dotarsi di software per dimostrare i risultati ottenuti dagli investimenti. Inoltre, il software si lega all’uso di dispositivi IoT e AI per raccogliere e analizzare i dati nei data lake per fare monitoraggio, efficientamento e forecasting. Anche la robotica è una linea di intervento possibile per le imprese che vogliono portare avanti la realizzazione delle fabbriche smart, automatizzando ulteriormente le fasi di lavorazione per creare efficienza energetica. Tutto questo coinvolge da vicino gli IT manager”.
La figura del CIO svolge un ruolo indispensabile anche per la Project Manager di MECSPE, Sabato: “Grazie alle sue competenze tecnologiche e ad una visione olistica dell’impresa potrà portare un significativo contributo al cambiamento culturale dell’azienda, necessario nell’ottica 5.0 e fondamentale per continuare a essere competitivi”.
5.0, AI e Augmentation, che cosa si possono aspettare i CIO
Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio MECSPE, gli imprenditori che nel I quadrimestre 2024 pensavano di richiedere gli incentivi stavano rivolgendo particolare attenzione verso gli investimenti in beni strumentali, materiali e immateriali, per la riduzione dei consumi energetici (61%),ma grande attenzione si rivolge anche all’intelligenza artificiale: il 63% è fiducioso dell’impatto positivo che questa tecnologia produrrà sull’industria. Il 32% sta già utilizzando o introdurrà a breve l’AI nei processi industriali, mentre un terzo si sta informando.
“Già nell’indagine condotta a giugno abbiamo visto che è aumentato in percentuale il numero delle aziende che hanno già adottato l’intelligenza artificiale (8% a giugno contro 5% a febbraio) o che la implementeranno nel 2024 (18% a giugno contro 13% a febbraio), quindi sono certa che le aziende continueranno in questa direzione anche grazie agli incentivi”, commenta Sabato.
Nel caso concreto di Rinaldi Group che, con gli incentivi di Industria 4.0, ha sostenuto il progetto per l’introduzione della tracciabilità di prodotto creando l’infrastruttura hardware (i tag Rfid), l’azienda spera di poter usare gli incentivi 5.0 per puntare sui servizi correlati al progetto 4.0 che diano valore ai clienti e un beneficio in ottica di sostenibilità, come la tracciabilità dei materiali e dei fornitori.
“Stiamo pensando di sviluppare una app che apre il codice unico del prodotto e racconta la sua storia in termini sia di provenienza certificata delle componenti che di consigli per la manutenzione, l’igienizzazione, il monitoraggio dell’usura e della perdita di comfort”, afferma De Vivo. “Sono servizi che prevediamo di fornire gratuitamente, ma che aggiungono valore al prodotto e fidelizzano il cliente”.
Per il professore Alessandro Sperduti, Direttore del Centro Augmented Intelligence della Fondazione Bruno Kessler (FBK), la transizione 5.0, nella sua componente digitale, ha una precisa caratteristica: quella di unire la spinta all’automazione all’imprescindibile presenza umana. L’intelligenza degli impianti deve potenziare l’operatore umano, non tradursi in una fabbrica di robot.
“Con Industry 4.0 si è posta più attenzione alla macchina, come se si automatizzasse ogni processo senza l’intervento dell’essere umano. Ma è fondamentale considerare che l’uomo prende le decisioni e questo compito resta essenziale, perché solo l’essere umano può farlo in modo complesso, unendo una molteplicità di considerazioni, come quelle etiche, che la macchina non è in grado di mettere insieme”, evidenzia Sperduti.
Per questo il paradigma 5.0 è un’AI che evolve in augmentation uomo-macchina: un’automazione con la figura dell’uomo sempre presente, o con una supervisione umana del sistema automatizzato, che può suggerire una soluzione, ma non decidere da solo. Ed è per questo che la formazione è così centrale: le persone devono imparare a interagire con le macchine per poter essere potenziate o “aumentate” nelle loro possibilità. Ciò vale per la Transizione 5.0 e, più ad ampio spettro, con la diffusione del digitale e dell’AI nelle imprese: saper lavorare e convivere con queste tecnologie è oggi un requisito di base come lo è diventato, anni fa, usare il computer e Internet.
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