C’è un ruolo molto importante che il CIO può giocare oggi nella sua azienda: guidare le strategie di riduzione di costi. I CIO che definiscono un linguaggio comune e un approccio strutturato alla gestione della spesa all’interno dell’IT e con i business partner riescono a costruire dei meccanismi efficaci di ottimizzazione dei costi, proattivi e programmatici, rendendo l’IT una fonte di valore per tutta l’organizzazione.
Secondo Gartner [in inglese], una buona prassi per i CIO è muoversi lungo tre direttrici: tagliare o ridurre la spesa eliminando sprechi o ridondanze; ottimizzare le prestazioni migliorando l’efficienza e la produttività; e creare valore spendendo in ciò che sostiene gli obiettivi di business. L’approccio deve essere equilibrato e sostenibile, piuttosto che prevedere investimenti illimitati nei periodi di crescita e tagli radicali in quelli di crisi, anche se ciò è, a volte inevitabile, come dimostrano le storie concrete di alcuni CIO.
Budget stretto: tutte le aree in cui fare efficienza
Per Thomas De Pace, CIO con diverse esperienze di gestione dell’IT nel mondo industriale, il contenimento dei costi è stato un leitmotiv. L’esigenza di ridurre la spesa tecnologica è diventata imprescindibile dopo la recessione degli anni 2008-2009, che ha portato, in alcune delle aziende per cui De Pace ha lavorato, anche a misure di cassa integrazione. Da questa scrupolosa attenzione al budget deriva la dettagliata lista di strategie che il CIO ha elaborato per risparmiare.
“Ho lavorato in imprese con margini molto bassi e più volte colpite dalle ondate di crisi: a volte, per mantenere i bilanci in positivo si era costretti a misure drastiche”, riferisce De Pace.
La prima mossa per il manager è sempre stata quella di rinegoziare i contratti con i fornitori del servizio desk e dell’application maintenance di alcuni grandi prodotti. Per esempio, con il supporto su SAP è accaduto di ridurre gli orari di copertura del servizio e di eliminare gli SLA e le relative penali legati alla manutenzione affidata in outsourcing.
“Avevamo un partner di fiducia e siamo riusciti a rinegoziare, con un significativo risparmio sui costi”, afferma De Pace. “Da allora ho sempre prestato molta attenzione ad inserire nei contratti l’opzione di riduzione dei servizi in caso di difficoltà”.
La spending review è stata una prassi costante per De Pace: come CIO di aziende medio-grandi, i contratti esterni erano tanti e razionalizzarli ha avuto un impatto sufficiente da evitare di ricorrere a ben più dolorosi tagli del personale.
“In questi casi ho eliminato alcuni contratti ridondanti, che si sovrapponevano perché coprivano strumenti che svolgevano lo stesso compito, sanando inefficienze legate all’architettura applicativa. Oppure ho tolto i contratti per la gestione di prodotti che non avevamo mai veramente utilizzato”, riferisce il manager.
In generale, De Pace ha osservato che rinnovare i contratti è sempre un buon modo per ridurre i costi: avere pochi fornitori è più conveniente che parcellizzare, perché se si spende molto con lo stesso partner questo è più propenso a negoziare uno sconto. Inoltre, quando ci si rivolge al mercato per un prodotto o servizio, De Pace ha l’abitudine di procedere con delle gare, perché i fornitori sono portati a competere sul prezzo a vantaggio del committente.
Dall’outsourcing all’insourcing: a volte conviene
Un’altra strategia che il CIO ha attuato in una passata esperienza lavorativa è stata passare dall’outsourcing all’insourcing: può sembrare controintuitivo, ma portare in casa personale per lavorare su alcuni specifici prodotti costava meno che servirsi di terze parti.
“In pratica abbiamo assunto decine di persone, di cui molte erano dei nostri consulenti. Eravamo molto sbilanciati sull’outsourcing e ci siamo resi conto che avere internamente le competenze che ci servivano per manutenere prodotti IT di uso quotidiano ci costava meno delle consulenze: infatti abbiamo risparmiato circa il 30%”, spiega De Pace. “Tante aziende preferiscono l’outsourcing per non doversi occupare di alcuni compiti gravosi, ma è una scelta che va ponderata: se non si hanno le competenze interne o se la consulenza fa riferimento a prodotti di uso non continuativo può essere necessaria o conveniente, altrimenti io trovo più vantaggioso avere risorse all’interno”.
Altre strategie adottate nel tempo da De Pace includono il passaggio dal sistema operativo Windows a Red Hat (Linux) per il cloud. Il CIO afferma, infatti, che il sistema operativo è un costo molto importante del cloud e Linux costa la metà del sistema di Microsoft (controllare i costi del cloud è, del resto, una delle strategie chiave per i ridurre i costi dell’IT). Il contraltare è che le competenze su Linux, sia interne che nei fornitori, sono più difficili da avere o reperire, ma per De Pace può convenire investire in formazione parte del budget che si è liberato risparmiando sulle licenze.
Margini ridotti: la sfida quotidiana del CIO
Per Massimo Anselmo, Direttore Sistemi Informativi di Karol Strutture Sanitarie, gruppo sanitario che opera nel settore delle fragilità, la gestione quotidiana dell’IT è un delicato equilibrio tra contenimento dei costi e la necessità di continuare a investire in aree in cui spendere è inderogabile, come la cybersicurezza.
“La vera sfida dell’IT per me è creare un’interfaccia accessibile per l’utente sanitario, in cui sia agevole inserire o consultare i dati, ma nel rispetto della sicurezza e dei vincoli di budget”, afferma il manager.
Le società sanitarie lavorano spesso su margini ridotti, hanno alti costi legati alle attrezzature mediche e al personale e un ulteriore onere, se agiscono a livello nazionale, creato dall’adeguamento delle piattaforme gestionali alle specificità regionali sulla gestione della sanità. Per esempio, Karol ha strutture per la lungodegenza sia in Sicilia che in Calabria, ma il sistema di rendicontazione delle prestazioni mensili è diverso nelle due regioni: ciò vuol dire, per l’IT di Karol, flussi informativi diversi da inviare al settore pubblico per avere il numero d’ordine e procedere con la fatturazione.
“Pur avendo un unico software sanitario dobbiamo differenziarlo nella parte amministrativa e questa è una difficoltà sia perché costituisce un lavoro in più per l’IT ed i suoi partner, sia per il costo dei software sanitari che acquistiamo, perché dobbiamo chiedere una notevole customizzazione. Una maggiore standardizzazione e una riduzione della burocrazia nella sanità ci aiuterebbero molto”, evidenzia Anselmo.
Dovendo ottimizzare il budget, Anselmo conduce anche delle periodiche analisi degli asset per verificare se c’è qualcosa che si può rendere più efficiente o eliminare. Per esempio, dopo il Covid, le postazioni IT per gestire i tamponi (che Karol aveva all’interno di un laboratorio di analisi convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale) sono state fortemente ridotte, perché la richiesta è nettamente diminuita.
Un’altra strategia che Anselmo adotta per tenere sotto controllo i costi è quella di avere personale IT con competenze multiple.
“Le PMI sanitarie funzionano in modo simile: più un’azienda è piccola più le stesse risorse devono fare un po’ di tutto, perché il budget è limitato”, sottolinea Anselmo. “Noi siamo ormai un’azienda di medie dimensioni, ma l’IT è un team ristretto, perché l’Information Technology non è il core business. Questo significa che da noi il sistemista deve sapersi occupare di data center, network e software sanitari. E per me la sfida continua è distribuire tempo tra le varie attività – infrastruttura, aggiornamento dei sistemi, backup, e così via – e decidere quando appoggiarci ai partner”.
L’esigenza di continuare a investire
Ogni risorsa liberata dalle attività di contenimento dei costi viene usata per le aree di investimento su cui non è possibile tagliare. Per esempio, nel caso di Karol, i server interni.
L’azienda infatti, gestendo dati sanitari sensibili, ha scelto di tenere i server in sede e, con la crescita delle strutture, ha dovuto prevedere un data center on-premise in Calabria (che si aggiunge a quello in Sicilia, distribuito su due siti diversi per motivi di business continuity).
“Avere i dati internalizzati è più adatto alle nostre esigenze e ci permette anche di renderli subito fruibili”, precisa Anselmo. “Questo per i centri di analisi cliniche e le strutture di cura è essenziale: pensiamo a una sala operatoria, che non può permettersi latenza nell’arrivo delle informazioni. Senza contare che i dati della diagnostica per immagini sono di svariati Giga ed è più complicato trasferirli in cloud in tempo reale, per cui dovremmo avere delle reti di telecomunicazione molto evolute e costose. Per tale regione preferiamo i server on-prem; nel cloud, se mai, facciamo i backup, per garantire la duplicazione, e gestiamo l’HR e le applicazioni non sanitarie. Ma siamo consapevoli che la scelta dei data center interni ha un costo di acquisto, manutenzione e gestione”.
Un altro costo non eliminabile è quello della rete: le strutture sanitarie che fanno anche chirurgia e degenza non possono rischiare interruzioni nel servizio. Anzi, piuttosto la regola di Anselmo è avere sempre qualche elemento hardware di scorta, come switch e terminali.
Un’ulteriore spesa, ma su cui tagliare non è possibile, è la user experience: “Lo strumento digitale che metto a disposizione degli operatori sanitari non deve essere complicato, perché il loro focus è il paziente, non la tecnologia. Per questo cerco sempre di spiegare come si usano le piattaforme e faccio leva su strumenti moderni e efficienti: se questi ultimi non sono user-friendly e ho il budget per farlo, preferisco investire per modificarli”.
Cinque azioni chiave per risparmiare: la mentalità oltre l’IT
Secondo EY [in inglese], ci sono cinque aree chiave su cui il CIO può agire per ottimizzare i costi dell’IT. Innanzitutto, snellire l’ecosistema di partner: il 47% delle imprese gestisce oltre 10 fornitori diversi per ciascuna iniziativa IT e qui, sicuramente, si può fare efficienza. Un altro modo per ottimizzare i costi è migliorare la collaborazione tra IT e business. Un terzo suggerimento è di investire in automazione dei processi, che libera tempo e risorse. Quarta strategia utile è equilibrare le componenti legacy dell’IT con quelle nuove: l’83% delle organizzazioni investe ampie porzioni di budget e grande quantità di lavoro nella gestione e manutenzione di sistemi più vecchi, per cui razionalizzare la parte ereditata aiuta a investire nello sviluppo del nuovo, cui ora è dedicato solo il 17% delle risorse. Questo equilibrio aiuta anche ad evitare che i sistemi IT diventino dei mostri di complessità. La quinta azione fondamentale è il coinvolgimento delle persone nell’intera organizzazione: l’ottimizzazione dei costi va intesa come approccio mentale a tutto campo.
Un esempio di questo approccio su scala aziendale è AUSL Romagna, azienda sanitaria pubblica nato nel 2014 dalla fusione dei quattro enti locali che gestivano l’assistenza sanitaria nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Qui l’ottimizzazione dei costi viene gestita anche autonomamente dalla funzione IT, nonostante sia fortemente basata sulla tecnologia, tramite l’Energy Manager, Paolo Bianco, e il Piano d’Azione Energetica, che valuta sistematicamente gli impatti su costi e ambiente del gruppo (più di 50 edifici e 15.000 dipendenti): efficienza energetica, uso delle energie rinnovabili, consumo idrico, sensibilizzazione degli utenti, e così via.
“La tecnologia per l’energia è fondamentalesia in fase di gestione che di progetto, perché abbiamo potuto acquisire dati che hanno permesso di creare impianti di dimensioni ottimali e, quindi, di investire in modo puntuale, con ritorni più brevi e liberando nuovi fondi da investire altrove”, afferma Bianco. “Il cambio di passo è avvenuto con l’installazione di decine di migliaia di sensori, pari a circa 80.000 punti controllati e collegati su una rete LAN interna con un sistema apposito di gateway con CPU multi-protocollo”.
Questi permettono di misurare il consumo energetico di centrali e frigoriferi e la produzione di energia e acqua refrigerata. Il sistema, unito agli impianti per l’auto-produzione di energia (fotovoltaico e co-generazione a gas metano), aiuta gli ospedali, che sono grandi consumatori di energia, a raggiungere il massimo dell’efficienza possibile.
“Già nell’Ospedale di Rimini gli interventi in efficienza energetica hanno consentito di ridurre i consumi del 30% e ora stiamo lavorando per replicare la stessa strategia in tutti i 13 ospedali del territorio, nonché negli edifici più piccoli”, dichiara Bianco. “Nel periodo 2017-23 abbiamo calcolato una riduzione del 14% delle emissioni di CO2 (nonostante una crescita del 15% nella superficie degli edifici) e un risparmio annuo di oltre 8 milioni di euro”.
Il cloud è sempre parte dell’equazione
L’AI aiuterà ad affinare il sistema e a moltiplicare i risparmi: quest’anno AUSL Romagna inizierà a fare gestione energetica per le componenti dei frigoriferi, che sono responsabili del maggior consumo energetico, e verranno installati dei gateway che mandano dati sul cloud; in questo modo l’ente potrà applicare l’intelligenza artificiale alla gestione delle condizioni operative dei gruppi frigo, riuscendo a modificare la temperatura a cui viene prodotta l’acqua refrigerata (che serve per deumidificare l’aria negli ospedali e che ha condizioni variabili). Va calcolato che ogni grado in meno di temperatura fa aumentare del 15% i consumi energetici: di qui la rilevanza dell’AI, che suggerisce le tarature per deumidificare in base alle condizioni climatiche e impara nel tempo quando serve più o meno deumidificazione con il machine Llarning.
A proposito di cloud, applicare un’attenta governance resta una delle prime strategie per tenere sotto controllo i costi ed evitare shock in bolletta. Il Direttore IT di una utility italiana, che ha i sistemi on-premise, ci ha svelato che, attualmente, paga 300.000 euro per un contratto di 7 anni con SAP per avere le applicazioni in sede, ma, se portasse le applicazioni sul cloud, spenderebbe la stessa cifra in soli 3 anni. Molti vendor tecnologici stanno spostando sul cloud la loro offerta, ma per questo manager, considerate le necessità di elaborazione della sua azienda, la migrazione totale non sarebbe affatto conveniente. La maggior parte dei CIO in Italia è di questa opinione: se si è cloud-native fin dall’avvio dell’impresa è un conto, ma, se si deve migrare da un’infrastruttura IT tradizionale, uno scrupoloso monitoraggio dei consumi in una soluzione ibrida è la strada più sicura per non perdere di vista quanto si spende.
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