Il Chief Information Officer sta prendendo sempre più consapevolezza del suo ruolo in azienda. In piena trasformazione digitale, il CIO – anche in Italia – non si limita a “fare IT”, ma partecipa al business grazie alla sua conoscenza e supervisione dell’IT come base fondante dell’attività d’impresa. In una parola sola, il CIO è e deve agire da vero “leader”.
“Leadership forte e capacità di people management: sono queste oggi le caratteristiche necessarie al CIO per affermare il proprio ruolo e rendere l’IT strategico per il business”, afferma Luca Danelon, Associate Partner, Page Executive (società di head hunting parte di Page Group). “Si tratta di un’evoluzione della figura del CIO che lo stacca dal ruolo tecnico, dove ormai ha il supporto di altre figure nel team o di società esterne di consulenza, e lo avvicina al business. Non c’è scelta: il CIO moderno è questo”.
Il ruolo del Chief Information Officer è già cambiato. Come ricorda Piera Carrà, CIO di Avio Aero (azienda parte di GE Aerospace, che opera nella progettazione, nella produzione e nella manutenzione di componenti e di sistemi propulsivi per l’aeronautica civile e militare), “In passato il CIO spesso non era nel board, ma era un riporto dell’HR, del Finance o della Comunicazione, quindi percepito come ruolo puramente tecnico e operativo. Poi è avvenuta un’evoluzione della figura del CIO, come manager che non solo garantisce la business continuity, ma contribuisce alla definizione della strategia aziendale”.
Il CIO è sempre meno tecnico. E per spiegarlo farà l’evangelist
La difficoltà da superare è, innanzitutto, culturale: è lo stesso Chief Information Officer a dover accettare di allontanarsi dal ruolo tecnico per poi evangelizzare colleghi ed executive sul suo nuovo profilo dai contorni più manageriali. A tale scopo, dovrà dimostrare di essere in grado di trasferire, tramite l’IT, le idee di business in attività concrete che generano un ritorno sull’investimento, usando i dati e i KPI.
Giuseppe De Vivo, CIO di Rinaldi Group (manufacturing di materassi), racconta di essere entrato in azienda perché i titolari volevano spingere sulla digitalizzazione per sostenere la crescita e la competitività, ma far comprendere ai colleghi i contorni della sua figura non è stato banale.
“Ho dovuto delineare il perimetro del mio ruolo, trovare i partner all’esterno con le risorse che avevo, sviluppare la mentalità digitale interna”, sottolinea De Vivo. “Adesso ho una persona nel team IT che collabora con me, ma all’inizio ero da solo e ho dovuto fare una vera opera di evangelizzazione in azienda per far capire di che cosa si occupa un Chief Information Officer. I colleghi mi chiamavano anche per cambiare il toner alla stampante: non è un problema, lo faccio volentieri. Ma non è questa la funzione del CIO”.
Le doti di comunicazione sono irrinunciabili: il CIO è anche influencer
Fabrizio Alampi, Country Information Officer presso Colisée Italia, parte del gruppo francese Colisée (società con missione sociale, che opera nell’Hospitals & healthcare per la terza età in Europa) ,concorda: “Oggi il ruolo del CIO si è ampliato e il livello si è alzato. Il CIO non è solo un tecnico, perché l’IT non è solo tecnologia: senza di essa non esiste il business. Per me questa figura manageriale deve portare innovazione, spingere sui processi e capire i bisogni sull’IT che le funzioni di business esprimono parlando in un linguaggio non tecnico”.
Il recente Barometer “Sfide e competenze per i dipartimenti e i team IT” condotto da Cegos (player internazionale nel Learning & Development) in Francia, Germania e Italia coinvolgendo 600 Direttori o Responsabili dei sistemi informativi,mostra che i CIO trovano più soddisfacenti le mansioni tecniche; tuttavia è importante che integrino nella loro passione per la tecnologia “la capacità di veicolare che l’IT è una funzione che va oltre se stessa, perché crea valore per tutta l’azienda”, sottolinea Emanuela Pignataro, Head of Business Transformation & Head of Execution di Cegos Italia. “AI Chief Information Officer si affida un ruolo sempre più strategico e si richiedono competenze manageriali, di gestione dei progetti e delle persone e, in generale, una serie di soft skill: le conoscenze tecniche vengono date come assodate”.
Tra queste competenze soft ci sono sicuramente le doti di comunicazione. Per Alampi, anzi, il CIO deve agire proprio come un influencer: “Per assicurarsi l’attuazione dei progetti da parte dei fornitori occorre grande capacità di dialogo e di persuasione, così come per far accettare il cambiamento digitale in azienda superando le resistenze che quasi sempre si presentano. Per questo, noi, ogni 3 mesi, organizziamo riunioni con tutti i direttori di struttura alle quali anche io partecipo: cerco di capire quali sono i problemi concreti del personale sanitario con le tecnologie, come risolverli e come spingere l’accettazione delle novità dell’IT presentandole e comunicandole nel modo migliore”.
Superare i confini: il CIO e l’IT entrano nel territorio del business
In Avio Aero il ruolo executive del CIO è assodato: la chief information officer Carrà è tra i membri del Senior Leadership Team e riporta al CEO. I dirigenti lavorano insieme in modo trasversale, per cui Carrà, oltre ad essere nel Leadership Team, promuove anche un allineamento continuo con le varie funzioni aziendali. Questo vuol dire che le persone chiave dell’IT si trovano dentro le altre funzioni e partecipano alle loro attività.
“In Avio Aero ogni funzione ha un focal point IT con un suo responsabile”, afferma Carrà. “Io stessa ero responsabile della funzione ingegneria prima di essere nominata Chief Information Officer e ho cominciato creando qui il focal point IT; poi l’ho istituito nella global supply chain e man mano in ogni funzione. In ciascuno di questi ‘mini-dipartimenti IT’ ho un mio riporto e tutti partecipano agli extended staff meeting: in questo modo il digitale è distribuito nelle funzioni e fa da partner per le persone dei rispettivi team sulle questioni IT e da referente verso l’IT. Questo tipo di organizzazione è stata importante nel rendere la digitalizzazione pervasiva”.
I confini dell’IT, in pratica, diventano fluidi. L’IT permea l’azienda e il CIO è ovunque, anche tra le linee produttive. Carrà afferma che il CIO deve immaginare, sviluppare e realizzare gli applicativi mettendosi nei panni degli utilizzatori finali: “L’IT deve fare le cose con lo sguardo di chi le usa”. La manager ha sempre abbinato le competenze tecnologiche con le competenze di processo e questo aiuta a definire soluzioni che sposano le esigenze reali. “Un grande vantaggio nelle implementazioni, soprattutto per un’azienda della produzione, è vedere le necessità sul campo: certe cose vanno pensate in fabbrica, non in ufficio, tra gli operai, toccando con mano il modo in cui le persone lavorano”, dichiara Carrà.
Il CIO diplomatico: è fondamentale saper mediare
Secondo Anna Giardini, CIO di ICS Maugeri SpA (Istituti Clinici Scientifici privati), società benefit, nei progetti tecnologici il Chief Information Officer deve essere consapevole che sono numerose le variabili possibili e che è necessario “mediare tra ciò che si vorrebbe e ciò che si può realmente realizzare in base al tempo e all’investimento fatto, nonché rispetto alle effettive opportunità offerte dall’avanzamento tecnologico strutturale e dagli applicativi”.
Giardini racconta come, nel momento in cui l’azienda ha deciso di adottare una nuova piattaforma digitale per gli acquisti, il team IT con quello del procurement hanno condotto un’approfondita valutazione preventiva per selezionare il prodotto al fine di rendere partecipi tutti i livelli interni dell’azienda, arrivando in modo naturale all’adozione.
“L’analisi condivisa è stata uno strumento trasformativo”, afferma la CIO, “supportando la proattività del team, evitando la percezione di complessità nel cambiamento di processo e allo stesso tempo la perdita di stimoli nel risolvere le difficoltà iniziali, creando, quindi, le basi per un cambiamento che si può definire anche culturale. In un percorso di innovazione digitale si nascondono numerosi ostacoli e la transizione a nuovi modelli gestionali porta in sé, in taluni casi, una fisiologica e forte resistenza al cambiamento”.
Può anche accadere che l’utente non IT minimizzi la complessità dei software e che nutra aspettative non sempre congrue rispetto alla funzionalità dei prodotti e alla loro possibile customizzazione. “Su tutti questi aspetti il ruolo dell’IT è delicato e strategico”, evidenzia Giardini, “in quanto deve poter supportare il cambiamento riadeguando le aspettative dell’utente finale. Il cambiamento culturale diventa quindi il risultato, sempre in evoluzione, di un percorso condiviso, dove l’IT deve collaborare a più livelli con le varie funzioni aziendali”.
Il CIO data-driven e il people management
Ma il CIO è pur sempre un Chief Information Officer e l’aspetto di manager dell’IT, pur se di alto livello, resta. Danelon sottolinea, in particolare, che la gestione dei big data è cruciale: “Sviluppare piattaforme dati modulari e scalabili permette all’organizzazione di sfruttare al massimo il potenziale dei dati per prendere decisioni informate”, afferma l’esperto.
In ciò risulta fondamentale la leadership. “Il ruolo del CIO, che in passato era molto tecnico, deve virare sulla capacità essenziale di promuovere l’inclusione e l’empowerment delle persone: ogni membro del team deve essere valorizzato e abilitato a contribuire”, afferma Danelon. “Avere una leadership forte, una chiara comprensione del proprio scopo all’interno dell’organizzazione e saper fare attraction e retention in un mercato dei talenti IT molto competitivo, grazie a doti di people management, sono le chiavi del successo per il CIO nei prossimi anni”.
Questo significa, da un lato, comprendere come la tecnologia può contribuire ai risultati aziendali e comunicarla efficacemente ai membri del team e, dall’altro, promuovere la formazione continua per le proprie persone: le attività di upskilling e reskilling permettono di assegnare alle persone nuovi incarichi, ovviando alla difficoltà di reperire risorse sul mercato, e di farle crescere assicurando loro una carriera gratificante.
Anche il CIO non deve smettere mai di coltivare le proprie skill. Per esempio, Cecilia Colasanti, CIO di Istat, l’Istituto nazionale di statistica, ha una formazione eterogenea, con uno sviluppato profilo tecnico (è una matematica, algebrista, e all’inizio della carriera ha lavorato come programmatrice), ma anche competenze aggiuntive acquisite con master in materie che vanno dalla governance IT, alle scienze comportamentali, alla privacy.
“Questo mi permette di parlare sia con le figure tecniche sia con quelle di business, alle quali spesso traduco aspetti IT in linguaggio non tecnico”, sottolinea Colasanti. La leadership e l’aspetto human vanno a braccetto: “Per me carisma, flessibilità e determinazione sono le qualità essenziali da possedere”, prosegue Colasanti. “Per fare il CIO oggi bisogna riportare l’umanità al centro dei processi digitali: il CIO deve saper leggere le emozioni”.
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