Stando a quanto si legge in un recente rapporto dell’AI-Enabled ICT Workforce Consortium, il 92% dei lavori in ambito IT sarà trasformato dall’AI in misura elevata o moderata. Quest’ultimo indicatore vale anche in relazione al dato che riguarda i lavori di livello superiore, nella totalità dei casi. Se, poi, il coinvolgimento riguarda attività di business e gestione IT, il 63% è stato classificato come “ad alta trasformazione” grazie all’intelligenza artificiale. L’azienda di formazione online Pluralsight ha condotto un sondaggio [in inglese] tra i professionisti IT negli Stati Uniti e nel Regno Unito e ha scoperto che il 74% teme che gli strumenti di AI renderanno obsolete molte delle loro competenze quotidiane.
“L’intelligenza artificiale generativa ha la capacità di sostituire i Chief Information Officer che non abbracciano i cambiamenti innovativi previsti in azienda”, afferma Tim Crawford, ex CIO egli stesso e ora consulente strategico presso AVOA, una società di consulenza tecnologica. Per gli altri, la GenAI aumenterà notevolmente il potere e il valore del ruolo di questa figura, osserva.
Sempre secondo il rapporto del consorzio, l’AI ha il potenziale per rivoluzionare tali ruoli, facilitando un processo decisionale più efficiente grazie alle intuizioni guidate dai dati, soprattutto per i lavori di altissimo livello. Alla fine del 2023, un sondaggio di edX su 800 dirigenti della C-suite ha mostrato che più della metà pensa che i ruoli di leadership esecutiva saranno parzialmente o completamente sostituiti dall’intelligenza artificiale. Nove su dieci hanno anche dischiarato che almeno una parte del loro lavoro potrebbe essere automatizzata dall’AI, e quasi la metà che la maggior parte o la totalità potrebbe essere completamente rimpiazzata.
Andy Thurai, VP e analista principale di Constellation Research, aggiunge che l’intelligenza artificiale viene utilizzata anche per aiutare nella definizione del budget, nel sourcing e nella stesura di documenti strategici o di visione da presentare al consiglio di amministrazione. I CXO chiedono addirittura all’AI dove pensano che le loro aziende siano inefficienti, e poi confrontano queste risposte con quelle ottenute dalle società di consulenza manageriale, che sono molto costose. “L’utilizzo dell’AI generativa è molto economico, anche se si utilizza il livello premium più elevato”, dichiara Thurai.
Sumit Johar, CIO dell’azienda di software finanziario BlackLine, spiega come le parti del suo lavoro che possono essere svolte o aumentate dall’AI includano compiti ripetitivi come l’organizzazione di riunioni, le approvazioni e la gestione dei ticket IT.
“L’intelligenza artificiale può anche essere addestrata a gestire le domande più comuni”, spiega, “perché crea un assistente personale sempre disponibile che ha accesso a tutte le conoscenze presenti nelle aziende”. Può anche aiutare a dare un senso a documenti di grandi dimensioni, consentendo un processo decisionale più rapido. “Vedo l’AI come un catalizzatore per una profonda reimpostazione delle mansioni e delle competenze”, prosegue.
Ma ciò non significa che il lavoro del CIO scomparirà, sottolinea. Sì, la produttività potrebbe aumentare, ma il lavoro probabilmente si evolverà, con più cose da fare in aree che richiedono competenze di alto livello e un processo decisionale strategico.
Johar dichiara che, oggi, il 70% del suo tempo è dedicato alla gestione delle operation aziendali, e che il poco tempo rimanente è occupato dalle attività che guidano la trasformazione aziendale e le iniziative di crescita. Via via che la presenza dell’AI aumenterà, si assisterà a uno spostamento di equilibrio dalla gestione del back-end all’innovazione e ai progetti orientati al futuro.
Sharon Mandell, CIO di Juniper Networks, gli fa eco: l’intelligenza artificiale può liberare tempo riducendo le e-mail da leggere o le riunioni alle quali partecipare.
“Ma il mio ruolo di solito consiste nel rispondere a domande in cui la saggezza convenzionale non si applica, e dobbiamo prendere decisioni che comportano la proprietà del rischio e la responsabilità”, dice. “Anche se l’AI può semplificare il processo di raccolta dei dati, le decisioni che comportano rischi e responsabilità richiederanno sempre un tocco umano”.
Questo è particolarmente vero quando si tratta di pivot strategici, gestione delle crisi o considerazioni etiche, aggiunge.
Tuttavia, la longevità in una carriera basata sulla tecnologia richiede di rimanere aggiornati sulle tendenze e di imparare a sfruttarle per migliorare le competenze e le abilità. “Uno dei motivi principali per cui sono entrata a far parte di Juniper Networks è che stava chiaramente investendo nell’AI per rendere più facile la gestione di un aspetto di cui i CIO si preoccupano: l’affidabilità e la sicurezza della rete. Vivere il mio ruolo è stato ed è tuttora il modo migliore per imparare come potrebbe cambiare”.
Inoltre, ora che sono emersi gli LLM e le altre forme di GenAI, la manager ha spostato una parte significativa del suo tempo a capire come può aiutare l’azienda, adesso e in futuro.
“Penso anche alle aree in cui l’intelligenza artificiale dovrebbe essere d’aiuto, ma non lo è ancora”, dice. “Quindi, che alla fine mi sostituisca o meno, in questo momento ci sto dedicando moltissimo impegno intellettuale”.
La prossima cosa per cui Mandell vuole usare l’AI è creare il suo gemello digitale, simile a quello costruito dall’imprenditore tecnologico e co-fondatore di LinkedIn Reid Hoffman.
“Posso immaginare un mondo in cui c’è un: ‘Vieni dal mio gemello digitale per avere la mia prospettiva prima di avere un incontro con me’, per certi scenari”, dice. “Ma questo diventa piuttosto impersonale e non si allinea con la leadership emotiva”.
Un focus sulla strategia
Johar e Mandell non sono gli unici leader IT a prevedere un’evoluzione più dinamica del loro lavoro grazie all’intelligenza artificiale.
“Speriamo che si faccia carico di alcuni compiti di routine”, riflette Henry Svendblad, CTO di Company Nurse, società che aiuta le aziende a gestire gli infortuni sul lavoro. “So che queste cose ad alcuni CIO piacciono, in molti casi anche molto, ma, per quanto mi riguarda, ciò che mi piace di più è far progredire l’azienda”.
Spiega, poi, come gli investimenti nell’AI abbiano aiutato la sua impresa a crescere più velocemente dei suoi concorrenti (il 30% quest’anno): “I nostri livelli di servizio sono migliori rispetto al passato, perché stiamo usando un bot per svolgere molte delle attività di routine che svolgevano i nostri agenti del contact center”. Ciò significa che gli infermieri possono dedicare più tempo a parlare con i dipendenti infortunati. “Possiamo fare di più, più velocemente e fornire più empatia”, aggiunge Svendblad.
Trovare modi innovativi per utilizzare l’AI e avere un impatto sull’azienda può aiutare un leader tecnologico a fornire un valore superiore a quello di un lavoro di gestione di routine. “Non sono in disaccordo sul fatto che alcuni CIO si trovino in posizioni di commodity”, afferma. “E quei CIO dovrebbero preoccuparsi del loro impiego”.
Via via che i LLM vengono applicati alle funzioni principali, i posti di lavoro saranno certamente eliminati, prevede Jim Routh, Chief Trust Officer dell’azienda di sicurezza cloud Saviynt. Per sopravvivere, le capacità di leadership trasformazionale sono essenziali.
“I CIO, i CDO e i CISO dovrebbero investire molto nelle competenze essenziali per facilitare il consenso”, evidenzia, “e dimostrare la capacità di parlare il linguaggio dell’azienda”.
Il passaggio alla GenAI rappresenta un cambiamento nelle operation aziendali, aggiunge, e la leadership nei meccanismi di trasformazione è essenziale per gestire il cambiamento e migliorare i risultati sostenibili. Ma sono ancora tante le aziende che devono lavorare sulla sostenibilità, sulla cybersicurezza, sul modo in cui gestiscono i dati, sul passaggio a un ambiente cloud, sulla pulizia del debito tecnico e sull’aggiornamento dei sistemi legacy, tiene a precisare Anand Rao, professore di AI presso la Carnegie Mellon University.
“Se il CIO sta veramente aggiungendo valore – strategicamente, operativamente, a livello di persone – non credo che l’intelligenza artificiale sia vicina a prendere il suo posto”, avverte.
I limiti dell’AI nella responsabilità e nell’intelligenza emozionale
Un’area in cui gli esseri umani differiscono dall’AI è la capacità di assumersi responsabilità. Nel contesto aziendale, non si tratta di un concetto nuovo. Si pensi, per esempio, alla conformità normativa, nel cui contesto le aziende possono esternalizzare singoli compiti, ma non la responsabilità. Allo stesso modo, un’impresa può delegare il processo decisionale a un sistema di intelligenza artificiale, ma un uomo deve comunque assumersi la responsabilità di quella decisione, ritiene Kevin Prouty, analista di IDC.
Per le aziende più piccole, o per quelle con una maggiore efficienza, le imprese potrebbero non avere più bisogno di un CIO dedicato, aggiunge. “Potreste avere il Chief Information Officer inserito in un ruolo diverso, oppure essere in grado di unire la sua posizione con quella del CTO”, afferma. “Ma il suo ruolo non sparirà. C’è ancora bisogno di qualcuno che prenda le decisioni”.
Ciò che l’AI può fare è consigliare l’essere umano su quale decisione prendere ma, anche in questo caso, ci sono alcune limitazioni significative. Le intelligenze artificiali hanno bisogno di molti dati di addestramento e, per alcuni tipi di decisioni strategiche di alto livello, possono rivelarsi non sufficienti. Al contrario, molte funzioni di basso livello sono spesso tracciate e monitorate, ma questa visibilità si estende raramente al processo decisionale strategico di alto livello.
“Non abbiamo una misura molto efficace dell’operato di un CIO”, racconta Rao. “Pochissime aziende registrano ogni decisione, e anche quando lo fanno non sono in grado di aggiungere ai suoi elementi conoscitivi il fatto che fosse buona o cattiva”.
Di conseguenza, senza questi dati di base, non solo è difficile addestrare un’AI, ma non c’è nemmeno modo di capire come l’intelligenza artificiale si comporta rispetto a un umano.
“Se non possiamo misurare le prestazioni del CIO, come facciamo a dire che l’AI è migliore?”, osserva. “Non saremmo in grado di farlo”.
Alcune aziende tengono traccia delle decisioni sotto forma di lezioni apprese, riflette Chris Mattmann, responsabile dei dati e dell’intelligenza artificiale dell’UCLA.
“Le lezioni apprese sono, in genere, legate alle modalità di fallimento”, spiega. “A ciò che non ha funzionato”. Al contrario, per il processo decisionale alimentato dall’AI, le aziende devono tenere traccia anche dei successi. “Non si vuole addestrare l’AI solo sulle cose che non sono andate a buon fine”, aggiunge. “È necessario tenere traccia anche di ciò che ha avuto un esito positivo”.
Va detto, però, che oltre alla mancanza di capacità di assumersi la responsabilità delle decisioni e alla scarsità di dati validi per aiutare l’intelligenza artificiale a imparare a prenderle, c’è anche il compito di trasformare effettivamente una decisione in un’azione. E questo può richiedere una buona dose di intelligenza emotiva (EI).
Non tutti vogliono prendere ordini da un’AI, dice Mattmann. “Ma la maggior parte delle persone vorrebbe riferire a un umano”.
Il confronto con gli altri serve anche per trovare ispirazione, come nel caso del suo precedente lavoro: prima di arrivare all’UCLA, all’inizio di quest’anno, Mattmann ha lavorato alla NASA per oltre due decenni, ricoprendo il ruolo di CTIO negli ultimi quattro anni. “Il CIO della NASA è un agente di cambiamento”, precisa. “Si tratta di una persona che deve comprendere la tecnologia e il volo spaziale umano, nonché essere un manager capace di mantenere la cultura aziendale di migliaia di persone. In questo caso, no, non credo che un’AI possa sostituirlo”.
Oltre a lavorare con i dipendenti, i CIO devono anche lavorare con altre unità aziendali e anche qui l’intelligenza emotiva gioca un ruolo-chiave.
“La si può considerare come una misura dello sforzo necessario dal punto di vista della gestione del cambiamento organizzativo per adottare nuove tecnologie”, afferma Brett Barton, global AI practice leader di Unisys. “Ci consiglia la disponibilità delle persone a modificare il loro modo di lavorare”.
Ed è qui che entra in gioco, con un ruolo enorme. “L’impulso è quello di concentrarci sulle relazioni interpersonali con i colleghi sul lato aziendale, in modo da comprendere non solo le parole, ma anche la direzione che si intende seguire, e portare loro soluzioni di cui probabilmente non erano nemmeno a conoscenza”, dice Barton. “Ci vuole del tempo, ma poi si guadagna fiducia, si ottiene rispetto e si diventa un partner ricercato per consentire la trasformazione all’interno di quella business unit”.
Rogers Jeffrey Leo John, co-fondatore e CTO di DataChat, lo sta sperimentando in prima persona, con l’impatto della GenAI sul tipo di lavoro che svolge.
“Non sto più dedicando tempo ad alcuni dei miei compiti quotidiani”, rivela. “Ho spostato la mia attenzione su quelli più strategici, come la creazione di tattiche a lungo termine, l’identificazione di opportunità di miglioramento, la trasformazione all’interno dell’azienda e l’allineamento degli obiettivi aziendali con le iniziative di AI”.
Inoltre, sta investendo tempo nell’apprendimento di ciò che accade nello spazio dell’intelligenza artificiale, in modo da poter individuare le opportunità quando si presentano. “Inizia anche a diventare evidente come il futuro della leadership IT richieda non solo competenze tecniche, ma anche una comprensione della strategia”, conclude. “Quindi sto iniziando a interagire di più e a fare rete con i leader aziendali, in modo da ampliare la mia comprensione delle varie sfide che si possono presentare”.
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