L’Italia è un Paese di micro, piccole e medie imprese: quasi 5 milioni, pari al 99% del totale, secondo gli ultimi censimenti di ISTAT. È un dato che costituisce anche un vanto del nostro tessuto industriale, fatto di eccellenza, artigianalità e creatività. Tuttavia, non sempre piccolo è bello. E quando si tratta di digitalizzazione si può tradurre in una ridotta capacità di concentrare in una funzione dedicata i compiti legati all’IT inteso come supporto all’innovazione. Secondo i dati del più recente Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della School of Management del Politecnico di Milano, un terzo delle PMI italiane (circa 230 mila aziende tra i 10 e i 249 dipendenti) non ha un presidio sulla funzione digitale e, quindi, non ha una figura, interna o esterna, che possa pilotare i progetti di digitalizzazione. Un altro terzo affida questi compiti a un professionista o consulente esterno oppure a una software house. Un altro terzo ancora – precisamente, il 36% – ha un responsabile interno che, nella maggior parte dei casi, è privo di un team a supporto (23% contro il restante 13% che ha un team).
“Questi dati parlano chiaro: solo una parte esigua delle PMI ha un presidio strutturato sul digitale”, afferma Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Polimi. “Preoccupa, in particolare, quel terzo di piccole e medie imprese in cui non esiste alcuna figura dedicata. In questi casi o si naviga a vista, guardando alle esigenze contingenti e senza programmazione, oppure intervengono le abilità extra di singole figure interne o di professionisti esterni”.
I mille volti del CIO in Italia
Riconoscere che l’IT partecipa alla generazione del fatturato e vedere il direttore della tecnologia come figura chiave del management aziendale, trasversale a tutte le aree, porta a definire un vero ruolo da CIO, al di là del nome che viene concretamente assegnato al manager. Nelle startup e nelle scaleup, per esempio, è più diffuso il titolo di CTO (Chief Technology Officer), mentre nelle aziende con una forte interfaccia verso l’utente finale, come quelle dell’e-commerce o della tv in streaming, spesso si trova il CDO (Chief Digital Officer). In altri casi, il CIO viene sostituito da un Direttore IT o dei Sistemi informativi; altrove, si affaccia il CIO come Chief Innovation Officer.
“Il CIO è un vero C-Level ed è più presente nelle aziende grandi, o comunque strutturate. Ma il tessuto industriale italiano è fatto di piccole medie imprese, dove è molto più frequente trovare un IT manager o responsabile dei sistemi informativi. Io stesso ho lavorato sempre in aziende medio-piccole con questo titolo”, afferma Aniello Ranieri, Temporary IT Manager e nel board del CIO Club Italia, associazione di Chief Information Officer, IT Manager e altri dirigenti delle tecnologie dell’informazione in Italia. Ranieri era spesso anche l’unico membro del team IT ed era collocato a metà fra gestione operativa e management.
“Il CIO è una figura più alta, poco operativa e manageriale a tutti gli effetti”, evidenzia Ranieri. “Al contrario, spesso in Italia chi gestisce i sistemi IT aziendali è una figura più operativa che manageriale. In molti casi questo accade perché le imprese non vogliono investire nell’IT, in quanto lo percepiscono solo come costo”.
Alcune imprese prevedono anche la doppia figura del capo del digitale e del capo dell’IT divisi tra il lavoro sulle interfacce digitali per i clienti e di quello sull’IT ad uso interno.
“Il digital officer è più esperto dei mercati di sbocco ed è focalizzato sui temi digitali, mentre l’IT manager nasce a presidio del portafoglio tecnologico, delle reti e della sicurezza aziendale. Quando esistono, però, le due figure collaborano tra loro”, commenta Rorato.
Un fattore che determina la presenza di un CIO oppure di un altro ruolo affine, più o meno tecnico, è la specifica necessità dell’imprenditore o del cda quando assume il capo dell’IT, evidenzia Luca Balbo, Executive Manager della divisione di ICT & Digital di Hunters Group (società di ricerca e selezione di personale qualificato). Aziende dei settori finanza, energia, sanità e retail si stanno rapidamente digitalizzando in modo pervasivo e spesso cercano professionisti capaci di guidare, in generale, la trasformazione digitale dell’azienda. In altri casi, le imprese vanno a caccia di manager che seguano precisi progetti strategici, come la gestione dei dati, la presenza online, la migrazione al cloud o il rafforzamento della cybersicurezza. Può trattarsi di CIO, ma anche di direttori IT o CTO, a volte coincidenti col CISO, incaricati di portare avanti la digitalizzazione con un focus su queste specifiche aree.
Resta il fatto che il CIO, nell’interpretazione più vera del ruolo, è una figura centrale, da “C-Suite”.
“I CIO sono coinvolti nel board e hanno un rapporto diretto col CEO”, sottolineaBalbo. “Non sono degli IT manager, che si occupano direttamente della tecnologia informatica, perché i CIO tendono a non intervenire nei compiti operativi. Infatti, ai clienti che esprimono la necessità di un capo dell’IT chiedo sempre se intendono la persona ‘in cravatta’ o quella che ‘mette le mani sui ferri’ – prosegue Balbo -. Questa è un po’ la distinzione tra i due ruoli che dà il senso di come il CIO oggi sia una figura molto vicina al business, pur se è a capo dell’Information Technology”.
Il riconoscimento strategico dell’IT e la sfida del CIO
La varietà di denominazioni non cambia la realtà descritta dall’Osservatorio del Polimi: un terzo delle PMI italiane non ha alcuna figura dedicata all’IT o al digitale, benché il 5% di quel terzo affermi di voler introdurre questa figura mancante. Inoltre, la situazione nelle medie imprese è più evoluta: qui c’è un responsabile interno con un team nel 30% dei casi, contro il 10% delle piccole. Le medie imprese hanno compreso culturalmente l’importanza della figura che presidia il processo di innovazione digitale, anche perché si tratta di aziende più strutturate. Solo il 18% delle medie imprese non ha questa figura e non ne sente l’esigenza, contro il 33% delle piccole.
“La piccola impresa deve far fronte molto di più alla quotidianità e non può permettersi di programmare una strategia digitale, mentre la media impresa è più articolata in funzioni specializzate”, osserva Rorato. “Inoltre, spesso la media impresa è inserita in un contesto competitivo più ambizioso e complesso e la figura dedicata al digitale permette di essere al passo”.
Tuttavia non sempre le imprese più strutturate vedono la strategicità dell’IT. Ranieri riferisce di aver lavorato in aziende di medie dimensioni, con più sedi, anche all’estero, dove gestiva l’IT da solo. E farsi assegnare una risorsa era complesso.
“Nelle PMI private in media ci sono da una a tre persone nell’IT. Almeno finché non succede qualcosa che intacca il business e allora lì scatta la consapevolezza”, dichiara Ranieri. “Spesso ho visto investire milioni di euro in attrezzature strategiche per il business, ma poi con riluttanza si investiva qualche decina di migliaio di euro per l’IT, magari per aree vitali come la cybersicurezza. Ed è difficile spiegare al management o alla proprietà che spendere prima è sempre più conveniente di un fermo in produzione o una perdita di dati dopo, per insufficiente protezione degli endpoint e dei server”.
Queste situazioni sono più rare nelle grandi imprese, dove il CIO è un manager che orienta le scelte tecnologiche in funzione della strategia aziendale e può gestire in autonomia dei budget.
L’evoluzione del ruolo è anche influenzata dalla complessità del digitale, che ha tante articolazioni – cloud, sicurezza, digitalizzazione interna e della relazione con i clienti, e così via – e il CIO non può occuparsi di tutto. Nei casi più strutturati, il CIO assume il compito di sviluppare la visione di insieme, prende le decisioni con il suo team e presidia tecnologie e processi ad alto livello, ma poi è affiancato da manager verticali, come il Data Officer, il CISO, magari un esperto di AI, che ricadono sotto la governance del CIO e cui il CIO dà un denominatore comune.
“Il CIO diventa così il coordinatore di una funzione molto articolata, e questa è la vera nuova sfida per questo manager”, dichiara Rorato. “Man mano che si contorna di figure specialistiche, il CIO diventa sempre più un manager che sviluppa visioni, una figura di strategia strettamente collegata alle funzioni operative, perché presidia la tecnologia che è leva di business”.
Il CIO sul mercato del lavoro
Quando in un’azienda c’è un CIO, il suo legame col CEO è diretto: spesso è l’amministratore delegato che chiede di assumere una figura con determinate caratteristiche funzionali al raggiungimento degli obiettivi di innovazione e crescita. Questo CIO è un dirigente da cui ci si aspetta fedeltà: gli si affidano progetti strategici, ovvero iniziative pluriennali, che il CIO è chiamato ad eseguire e sviluppare con successo.
“Per questo, la mobilità dei CIO in Italia non è così elevata come nel resto d’Europa o negli Stati Uniti”, indica Balbo. “Anche perché questi dirigenti costano: sono figure apicali, con compensi che, pur variando notevolmente a seconda delle dimensioni aziendali, vanno da 70/80 mila euro fino a 100 mila euro l’anno nelle medie imprese, mentre nelle grandi o nelle multinazionali si possono toccare i 200-300 mila con anche stock option e bonus”.
Naturalmente, questo riguarda il CIO, non l’IT Manager della piccola impresa, dove i compensi si aggirano intorno ai 40/50 mila euro annui. Senza contare che può succedere che al manager in questione si assegnino compiti che non sono proprio IT.
“In alcune passate esperienze, mi sono trovato a seguire anche il marketing o la comunicazione social, oppure ad alimentare il blog del sito”, afferma Ranieri. “Si fa di tutto per risparmiare anche a discapito della qualità del servizio. È un tema molto sentito dai dirigenti dell’IT; per questo il CIO Club cerca di sensibilizzare le aziende sul ruolo del CIO come manager e sul fatto che deve far parte del board decisionale. L’IT oggi è un asset fondamentale. Il CIO ha il polso di tutta l’azienda, perché ha visibilità su quel che accade in ogni dipartimento”.
I CIO – o qualunque sia la loro denominazione – lo sanno: l’IT e il ruolo di chi lo governa è strategico. A volte, la sfida è convincere il management.
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