Il mercato mondiale del digital twin (o gemello digitale) sta crescendo rapidamente: varrà 11,5 miliardi di dollari alla fine del 2024 e 119,3 miliardi alla fine del 2029. Tuttavia, il 47% dei decisori IT delle imprese non ha mai sentito parlare di questa tecnologia. Il dato, emerso da un recente report di Research and Markets, evidenzia un quadro globale molto simile alla realtà italiana: di fronte a imprese che hanno già implementato tecnologie emergenti come realtà estesa, IoT e digital twin, ve ne sono altrettante che non hanno conoscenza di queste soluzioni o consapevolezza dei loro vantaggi e non le adottano.
Come racconta Andrea Roero, CIO di Molteni Group (home/office luxury furniture) e con passate esperienze nell’industria immobiliare, “In ambito real estate ho usato le tecnologie più innovative per aumentare l’efficacia dei servizi erogati. Per esempio, i sensori IoT collegati a un gemello digitale con elementi di realtà virtuale e aumentata sono molto utili per monitorare uno stabile e gestire i suoi consumi energetici, riducendone l’impatto ambientale. Si tratta di soluzioni abbastanza note nell’industria immobiliare e che danno un chiaro vantaggio competitivo a chi le adotta, ma non sono ancora ampiamente diffuse, soprattutto perché richiedono un cambiamento culturale che spesso non si ha voglia di intraprendere”.
Ciononostante, in Italia, i CIO più “visionari” sperimentano le nuove tecnologie con risultati concreti capaci di attrarre il sì convinto del CEO.
I CIO italiani e il gemello digitale
È quel che ha fatto Pierangelo Perdomi, CTO di AVR Group: convinto del valore per AVR del gemello digitale (che permette di creare copie digitali dinamiche di oggetti o sistemi fisici), ha studiato sul mercato le aziende che già proponevano soluzioni di questo tipo e ha cercato di individuare i potenziali clienti da attrarre.
“Ho capito che AVR avrebbe generato valore di business non semplicemente fornendo ai propri clienti dei dati, ma i servizi correlati, puntando su qualcosa che gli altri non davano”, afferma Perdomi. “I dati è come se fossero una commodity. Noi, invece, integriamo le informazioni in processi più ampi e il nostro gemello digitale è come un contenitore che include più servizi e che offre correlazioni. Per esempio, un nostro cliente può correlare l’arredo urbano e l’incidentalità e svolgere analisi predittive. Così diamo un valore aggiunto ai dati”.
Le tecnologie emergenti sono spesso implementate insieme. Il digital twin, per esempio, si appoggia ai sensori IoT (non a caso, Research and Markets stima che, nel 2029, il 95% delle piattaforme IoT conterrà qualche forma di digital twin) e usa software per la realtà virtuale. Il gemello digitale costruito da AVR usa anche l’AI avanzata per la cattura delle immagini, ovvero la computer vision, che consiste di algoritmi che identificano gli oggetti fisici e li traducono digitalmente per il gemello digitale.
Anche il Gruppo Molteni sta valutando il digital twin. L’azienda sta avviando un comitato strategico di sostenibilità interno che mira ad allinearsi alle direttive UE di settore. Essendo Molteni un player dell’industria del mobile, deve adottare il Passaporto digitale del prodotto europeo, ovvero un sistema che raccoglie, digitalizza e rende accessibile tutte le informazioni del prodotto lungo l’intero ciclo di vita.
“Perciò stiamo considerando le soluzioni tecnologiche correlate, come il gemello digitale, cercando di associarlo ad esigenze pratiche”, afferma il CIO Roero.
Extended reality: il mercato in Italia
Una tecnologia correlata a digital twin, IoT e realtà aumentata è quella del metaverso industriale che, secondo le stime di Precedence research [in inglese], raggiungerà entrate mondiali di quasi 18 miliardi di dollari nel 2024 e di 337 miliardi di dollari entro il 2033. Il metaverso industriale definisce l’aggiunta di situazioni virtuali a procedure industriali fisiche al fine di migliorare la progettazione, la produzione e le operation all’interno dell’azienda. Per esempio, tramite la realtà virtuale e la realtà aumentata si possono generare gemelli digitali che rispecchiano le procedure di produzione e migliorano i processi senza dover ricorrere a esempi o prototipi fisici. Il metaverso industriale permette anche la collaborazione in tempo reale tra team dislocati in sedi diverse.
In Italia, secondo l’Osservatorio Extended Reality & Metaverse della School of Management del Politecnico di Milano, dal 2020 al 2023 in Italia si sono registrati, tra realtà aumentata, mista e virtuale (che insieme sono definiti realtà estesa), 482 progetti (di cui 71 all’interno di mondi virtuali, quindi più propriamente dei metaversi). Nel solo 2023 sono nati 108 progetti, in calo del 18% rispetto al numero di nuove iniziative emerse nel 2022 (anno di maggiore hype per il metaverso). La maggior parte dei progetti (301) è nel B2C (Retail, Turismo e Education i settori più attivi), mentre nel B2B l’industria più interessata è quella manifatturiera.
Marta Valsecchi, Direttrice dell’Osservatorio Extended Reality & Metaverse, sottolinea che i tempi per il metaverso non sono ancora maturi “e probabilmente non lo saranno ancora per diversi anni”, ma le tecnologie di extended reality e i mondi virtuali, che ne costituiscono le fondamenta, sono già una realtà e stanno evolvendo velocemente.
Un esempio evidente è quanto accaduto in ACI: il Direttore Sistemi Informativi e Innovazione, Vincenzo Pensa, si è trovato a studiare sia il metaverso che la realtà estesa per alcune applicazioni innovative e ha deciso per la seconda.
“L’impressione è stata che la tecnologia del metaverso non fosse matura”, spiega Pensa. A quel punto il team IT e Innovazione ha cominciato a lavorare su progetti con la realtà aumentata e virtuale, sviluppando dei prototipi e trovando l’ambito di applicazione dell’auto storica.
Come nasce un progetto di realtà estesa
È nato così il progetto ACI Experience – “Le auto della Dolce Vita”, presentato in occasione della scorsa fiera Auto e Moto d’Epoca di Bologna. Ai visitatori del proprio stand ACI ha offerto un’esperienza immersiva negli anni ‘60, grazie alle tecnologie studiate e progettate dal team di Pensa.
“Abbiamo portato nello spazio espositivo la Triumph TR3A guidata da Marcello Mastroianni nel film ‘La Dolce Vita’ e ne abbiamo fatto il punto di partenza di un viaggio emozionale con gli occhiali per la realtà estesa Vision Pro di Apple, che siamo riusciti ad acquistare anche se non sono ancora commercializzati in Italia”, racconta Pensa.
Indossando questi occhiali i visitatori si sono immersi in una narrazione che fondeva storia e innovazione, passando tra i luoghi romani simbolo della Dolce Vita su cui si stagliavano tre auto storiche: oltre alla Triumph TR3A, anche l’Alfa Romeo Giulietta Spider e la Cadillac Convertible, protagoniste a quattro ruote del film di Fellini. Di ogni auto si potevano esplorare i dettagli, sedendosi sul sedile di guida, osservando il cruscotto, sbirciando nel bagagliaio e ascoltando il rombo del motore.
“L’abbinamento con una tecnologia di frontiera ha funzionato”, sottolinea Pensa. “L’auto storica è ancora un oggetto di culto, protagonista di raduni e mostre e oggetto di un fiorente mercato di collezionismo. Perciò abbiamo voluto far vivere un’esperienza digitale in questo contesto tradizionale in combinazione con il tema cinematografico e abbiamo dato vita all’esperienza virtuale delle auto della Dolce Vita”.
Le tappe fondamentali per spingere l’innovazione in azienda
Ma, in concreto, come si porta una tecnologia d’avanguardia in azienda?
Pensa di ACI agisce sia dando personalmente impulso alle nuove idee, sia facendo leva su un team interdisciplinare e attività di brainstorming. C’è, inoltre, il supporto dall’esterno di unasocietà di consulenza che aiuta a mettere a fuoco le tecnologie più promettenti e a ipotizzare i diversi scenari.
“È così che abbiamo individuato il tema della realtà virtuale e aumentata per il mondo delle auto storiche”, racconta Pensa. “Poi abbiamo condotto un sondaggio tra un gruppo di studenti del Politecnico di Milano, chiedendo in quali ambiti consideravano promettente l’applicazione di queste tecnologie, ed è emerso proprio quello dell’auto storica, confermando quanto avevamo pensato. Ho quindi presentato l’idea al presidente di ACI che ha dato il suo benestare. E siamo andati avanti”.
Con la stessa filosofia Pensa sta valutando altre possibili direzioni di sviluppo per le applicazioni di realtà estesa in ACI. Il team composto da competenze diverse dovrà elaborare proposte per definire business model, contenuti, ambientazioni, dispositivi da usare, e così via. Finora l’azienda ha usato per questi progetti il know-how di un fornitore, ma adesso vuole incorporare le competenze internamente, per poter sostenere i prossimi progetti in diversi ambiti, come lo sport, i motori e gli eventi.
“Con la realtà aumentata si può fare molto, anche applicarla alla formazione a distanza”, afferma Pensa. “Ma bisogna procedere con cautela, definire le priorità su cui andare avanti e seguire quella direzione senza sviare. Detto questo, vedo molte opportunità nella realtà estesa e aumentata: arricchisce le attività di ACI e stimola nuovi modelli di business”.
Il punto di vista di Pensa è condiviso da tanti CIO: la digitalizzazione è un must per restare competitivi, ma l’innovazione deve produrre dei benefici sia economici sia per le risorse umane. Il CIO non può lasciarsi suggestionare da tecnologie che non hanno vantaggio per l’azienda, ma deve proporre investimenti che portano un ritorno, selezionando le innovazioni che possono avere un futuro ed evitando le “sirene” di alcuni vendor.
Un fattore importante, infatti, è anche giustificare l’investimento presso il board: portare una tecnologia in azienda vuol dire, spesso, acquistare attrezzature nuove e, sicuramente, spendere per la formazione interna o il reclutamento di figure esterne con le competenze necessarie, e il CIO dovrà dimostrare che questi sforzi porteranno benefici tangibili.
La gestione “diffusa” dell’innovazione
L’ultima ricerca degli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano mette in evidenza un altro aspetto: nelle aziende si stanno affermando dei modelli di gestione dell’innovazione diffusa. Se, infatti, il 39% delle imprese ha una “Direzione Innovazione” interna, sono sempre di più quelle che hanno invece scelto un approccio trasversale: quasi due aziende su tre hanno definito figure di Innovation Champion provenienti da linee di business o altre funzioni incaricate di guidare o partecipare alle iniziative di innovazione.
Le principali sfide che emergono nella ricerca degli Osservatori sono la necessità di integrare lo sviluppo dell’innovazione con i bisogni delle Business unit e la ricerca di coordinamento con le funzioni di business per mettere in produzione le innovazioni. C’è anche la difficoltà di coinvolgere in modo efficace la popolazione aziendale nelle attività di innovazione, ovvero quell’aspetto di “cambiamento culturale” che anche molti CIO sottolineano. Per esempio, lavorare con un gemello digitale o un software di realtà estesa significa agire sul modo di lavorare delle persone, che diventa necessariamente “phygital”, ovvero in parte è tradizionale, in parte avviene in un ambiente digitale simile a un videogioco – e le risorse vanno preparate e accompagnate con attività di formazione.
Conta anche la corretta scelta del fornitore. Per molte delle tecnologie emergenti, le soluzioni sono già sul mercato, non serve sviluppare da zero in casa. Perciò il ruolo del CIO diventa “aiutare a selezionare quello che è più adatto alla sua azienda e trovare il business partner che integri la soluzione”, afferma Roero. Che sottolinea: “Io cerco di fare il mesh up del best of breed. L’integrazione è la chiave e si può fare con l’IT interno se ci sono le competenze o con dei consulenti nel momento di cambiamento più marcato”.
Molti Direttori dell’IT procedono in questo modo, selezionando la tecnologia di un fornitore e poi integrandola con prodotti sviluppati internamente.
Quanto ai costi, secondo Pensa, se c’è una buona gestione manageriale e si procede tramite PoC, le tecnologie d’avanguardia si possono implementare anche senza spendere tanto. Ma occorre anche qui “la mentalità proiettata verso l’innovazione”.
Parte di questa mentalità è accettare il fallimento: “È vero che ci sono tecnologie d’avanguardia che deludono, ma la delusione fa parte del gioco”, afferma il manager di ACI. “Il cosiddetto funnel dell’innovazione è fatto di prove e sperimentazioni; poi si vede se ci sono risultati e se è il caso di andare avanti. Noi abbiamo questa filosofia”.
“Il fallimento esiste se si fa innovazione, e va bene così”, concorda Perdomi. “L’importante è stimolare tante idee anche dal basso: più idee ci sono, più ci sono opportunità di riuscire: è così che noi abbiamo proceduto con il progetto del digital twin”.
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