Il leader IT ed ex CIO Stanley Mwangi Chege ha sentito per anni i dirigenti lamentarsi delle implementazioni cloud, citando la rapida escalation dei costi e le difficoltà legate alla privacy dei dati come motivi principali delle loro frustrazioni.
Ha visto alcuni di loro reagire spostando i carichi di lavoro dal cloud ai data center on-premise per consentire un miglior controllo dei costi [in inglese] e degli standard relativi alla privacy.
Ha lavorato con una compagnia assicurativa che, nel 2023, ha fatto una mossa di questo tipo, spinta – in particolare – dal desiderio di avere il pieno controllo sui suoi dati regolamentati, per esempio.
Chege, ora CEO e principal consultant di Digital Transformation Experts, racconta di aver lavorato con altre aziende che hanno fatto passi simili. Anche loro sono state motivate da questioni di privacy dei dati, considerazioni sui costi, problemi di conformità e di latenza.
Cita il lavoro svolto con una banca diversi anni fa, un progetto che dimostra come tali decisioni siano spesso strategiche e ben ponderate.
In quel caso, il consiglio di amministrazione era preoccupato per il volume di commissioni inaspettate addebitate dai cloud provider. Riteneva, inoltre, che il fornitore non fosse in grado di aiutare adeguatamente la banca a soddisfare i requisiti della Legge sulla Protezione dei Dati e le normative della Banca Centrale del Kenya, e che la latenza sperimentata durante le transazioni danneggiasse il servizio clienti.
“La banca ha deciso che era meglio essere on-premise per certi carichi di lavoro, dove l’analisi costi-benefici e il TCO sarebbero stati migliori nel lungo periodo”, dice Chege, che è anche membro del gruppo di lavoro Emerging Trends dell’associazione di governance IT ISACA.
Carichi di lavoro cloud in movimento
Questi ripensamenti non sono la norma, ma non sono nemmeno rari. Le ricerche mostrano che i CIO hanno spostato i carichi di lavoro dal cloud per molti anni, e continuano a farlo.
Mentre alcuni abbandoni – soprattutto agli albori del cloud computing – sono stati causati da implementazioni fallite, gli analisti e i leader IT riflettono sul fatto che che, oggi, in molti casi si tratta di mosse intelligenti che offrono vantaggi all’azienda [in inglese].
Inoltre, dimostrano come i CIO abbiano una strategia cloud più accorta e fluida [in inglese] per avere la certezza di non accontentarsi di meno di ciò che desiderano.
“Riportare i sistemi in casa è una buona opzione da valutare”, tiene a precisare Natalya Yezhkova, vice president della società di ricerche IDC. “I CIO dovrebbero rivalutare se il cloud pubblico sta fornendo [valore], perché le esigenze dei carichi di lavoro cambiano, le normative intorno ai carichi di lavoro cambiano, le offerte cambiano sia in termini di prezzo che di funzionalità. Quindi le imprese non dovrebbero chiudere la porta a nessuna delle due opzioni, cloud pubblico o ambiente dedicato”.
Mantenere una minaccia credibile di defezione rimane una tattica importante per evitare il lock-in del fornitore di cloud [in inglese], soprattutto in un’epoca in cui il rapido emergere di strumenti di AI porta a un nuovo livello il rischio [in inglese] di rimanere bloccati in un cloud specifico.
Uscita dal cloud: una pratica coerente che nasce da preoccupazioni comuni
Secondo il rapporto di IDC del giugno 2024 dal titolo: “Assessing the Scale of Workload Repatriation” [in inglese], circa l’80% degli intervistati “prevede di vedere un certo livello di abbandono delle risorse di calcolo e di storage nei prossimi 12 mesi”. Si tratta di una percentuale coerente con i risultati di diversi sondaggi precedenti.
Lo studio, di cui Yezhkova è autrice, rileva che la pianificazione del rientro in azienda dei carichi di lavoro è rallentata nel 2023 rispetto al 2022, ma che il periodo di sei mesi tra i due sondaggi più recenti (settembre 2023 e marzo 2024) ha visto un aumento dei livelli di piani di ritorno all’on-premise “sia per le risorse di calcolo che per quelle di storage, come pure per il ciclo di vita dell’AI, delle applicazioni aziendali (CRM, ERM e SCM), e delle attività dei database”.
Ha notato una diminuzione dei piani di rinuncia per i carichi di lavoro ingegneristici/tecnici.
“Abbiamo iniziato a vedere il suo abbandono dal momento in cui il cloud pubblico è diventato mainstream”, dichiara Yezhkova. “Ma c’è sempre un po’ di attività intorno, e il livello di attività non sta diminuendo”.
La ricerca IDC offre anche spunti per capire perché tutto ciò avviene.
Una scarsa pianificazione ha spesso reso necessario il rientro dei carichi di lavoro in azienda nei primi anni di adozione del cloud pubblico, osserva Yezhkova. Ciò è avvenuto perché le aziende non erano preparate a ottimizzare con successo o addirittura a gestire adeguatamente le loro implementazioni cloud e a gestire i costi, e questo ha provocato il loro ritorno all’on-premise.
Oggi, la maggior parte delle imprese è in grado di gestire con successo le proprie implementazioni cloud, aggiunge l’esperta, ma si sta accorgendo che le esigenze di sicurezza e di privacy, le prestazioni, la gestione e la governance possono essere gestite meglio in un ambiente dedicato.
A titolo di esempio, Yezhkova indica le complesse considerazioni che le aziende devono effettuare quando utilizzano l’AI generativa, spiegando che la valutazione riguarda l’elasticità del cloud pubblico rispetto ai costi crescenti che derivano dalle inesauribili esigenze di elaborazione dell’AI [in inglese], nonché i rischi legati all’esposizione di dati protetti a modelli di AI pubblici.
Le molteplici opzioni per ritirarsi dal cloud pubblico
Il ritiro dal cloud è tipicamente definito come lo spostamento di applicazioni, dati, carichi di lavoro o altre risorse ospitate nel cloud pubblico verso un data center on-premise o un altro ambiente dedicato (ossia, un cloud privato).
I dirigenti IT hanno ora più opzioni al di là delle due appena citate, vale a dire tutte quelle che rientrano nell’as-a-service (aaS). Per esempio, GreenLake di Hewlett Packard Enterprise offre una flessibilità simile alla “nuvola” ai data center on-premise e ad altri ambienti IT dedicati, mentre Dell APEX Private Cloud offre un’esperienza cloud on-premise per i carichi di lavoro VMware nei data center e nelle sedi periferiche.
Questi prodotti offrono infrastrutture che funzionano in modo simile al cloud pubblico e includono un mercato di applicazioni e sistemi di misurazione, indica Yezhkova, aggiungendo che “questi modelli rendono più facile il rimpatrio”.
I CIO possono anche considerare l’edge computing e i micro data center come alternative ai tradizionali data center dedicati, al cloud e ai modelli aaS.
Oltre al ritorno on-premise, i Chief Information Officer hanno la possibilità di valutare come alternative al cloud pubblico all-in il content delivery network service (come quelli offerti da vendor specializzati come Cloudflare) e i servizi cloud GPU, sostiene Brian Alletto, direttore della società di servizi digitali West Monroe.
“Ora ci sono opzioni che offrono esperienze simili al cloud, anche se non si tratta di cloud pubblico”, evidenzia.
I leader e i consulenti IT sono consapevoli che la disponibilità di tali opzioni influenza le decisioni dei CIO [in inglese] di spostare i carichi di lavoro dal cloud pubblico.
Il rapporto IDC affronta l’interesse per queste opzioni, affermando: “La domanda di consumo as-a-service (aaS) di risorse infrastrutturali tra cloud condiviso/pubblico e ambienti dedicati che possono estendersi a data center on-premises, strutture di co-location e siti di hosting sta crescendo e sta diventando una parte essenziale delle strategie multicloud ibride. Il consumo basato sull’utilizzo dei servizi delle risorse di calcolo/storage on-premise è ancora un concetto nuovo per le aziende, ma la consapevolezza sta crescendo. La disponibilità di una base di conoscenze e di best practice sui vari modelli aaS accelererà il processo di adozione”.
Yezhkova spiega anche come la ricerca mostri che CIO non riportano in azienda interi sistemi o applicazioni, quanto piuttosto carichi di lavoro specifici. Sempre secondo il report, meno del 10% degli intervistati ha dichiarato di aver rimpatriato carichi di lavoro interi.
Inoltre, osserva che il progetto di rientro prevalente riguarda un carico di lavoro di un sistema distribuito e di proprietà dell’impresa, ma gestito da una terza parte.
Il cloud regna ancora
Sebbene lo studio mostri che il rimpatrio continua, Alletto, Chege, Yezhkova e altri concordano sul fatto che ciò non suggerisce in alcun modo un ritiro generale dal cloud pubblico.
Ciascuno di loro sottolinea quali sono gli ostacoli che i CIO spesso incontrano quando riportano all’interno i carichi di lavoro [in inglese], spiegando che potrebbero trovarsi a dover affrontare gli stessi problemi che stanno cercando di eliminare dopo il passaggio dal cloud, in particolare quelli che riguardano i costi più elevati, i problemi di sicurezza, di privacy e di prestazioni.
“La migrazione inversa del cloud può presentare una serie di difficoltà”, dice Delie Minaie, vice president senior per le soluzioni digitali e cloud di Booz Allen Hamilton, citando la complessità della migrazione dei dati, i tempi di inattività e le interruzioni del servizio, i requisiti di sicurezza e conformità, nonché il refactoring delle applicazioni come punti dolenti tipici del rimpatrio.
“Invito i leader [aziendali] a riflettere attentamente prima di considerare l’abbandono del cloud”, afferma Minaie.
Chris Thomas, direttore di Deloitte Consulting e leader di Deloitte per il cloud negli Stati Uniti, sostiene che i leader aziendali devono assicurarsi di non essere vittime di una scelta “o l’una o l’altra” quando valutano le opzioni.
Osserva che le aziende devono confrontarsi con un panorama dinamico del cloud e spesso cercano di minimizzare i costi via via che la loro infrastruttura cresce.
“Quando si cerca di razionalizzare i costi, è una reazione naturale dire: ‘Cosa possiamo togliere dal cloud? Ma questo implica un modo di pensare binario: possiamo migrare verso il cloud o allontanarci da esso”, spiega Thomas. “Non è sempre così. Ci sono opportunità di ottimizzazione per le aziende che sono già passate al cloud”.
Secondo lui, queste “opportunità di ottimizzazione” includono la rimozione di set di dati duplicati, la riduzione delle istanze inutilizzate, l’aumento dell’automazione e del self-healing, l’investimento in strumenti FinOps [in inglese] e l’adozione di nuovi servizi offerti dai cloud vendor.
L’ibrido è l’obiettivo
Secondo altri esperti, questi ragionamenti stanno già prendendo campo.
Infatti, Alletto è certo di assistere a un numero sempre maggiore di CIO che valutano attentamente le loro opzioni. Quindi, quando rimpatriano i carichi di lavoro, lo fanno sempre più spesso perché si aspettano dei vantaggi, e non perché non hanno avuto successo con l’implementazione del cloud.
“I rientri on-premise per buone ragioni sono sempre più elevati”, aggiunge Alletto.
Ricorda il suo lavoro per una recente fusione, in cui l’azienda principale – che aveva l’obiettivo di ridurre i costi – ha stabilito di poter spostare un carico di lavoro dal cloud a un data center on-premise di proprietà dell’azienda acquisita, per ottenere i risparmi desiderati senza impattare sulle prestazioni.
“Questo dimostra che ci sono buone ragioni per il rimpatrio”, precisa Alletto.
I leader IT dichiarano di essere alle prese con nuove strategie cloud per incorporare questa prospettiva e consentire più opzioni. Dicono che c’è un movimento filosofico che si allontana dal cloud al 100% per passare all’ibrido come ideale [in inglese], con strategie che enfatizzano le valutazioni di dove i carichi di lavoro dovrebbero essere basati su considerazioni mutevoli.
“Continuiamo a effettuare modifiche per ottenere il giusto equilibrio”, spiega Chege.
Tej Patel, vicepresidente per l’IT e CIO dello Stevens Institute of Technology, sta adottando un approccio di questo tipo. Dice: “La domanda dovrebbe essere: dove voglio collocare il mio carico di lavoro?”.
Come altri, Patel riconosce i vantaggi del cloud pubblico, come la sua scalabilità, la sua elasticità e le sue numerose funzionalità e capacità. Ma, come altri, è anche ben consapevole delle difficoltà nella gestione e nell’ottimizzazione del suo utilizzo, in particolare, in relazione al controllo dei costi, e la garanzia di conformità agli standard di sicurezza e di privacy.
Per questo motivo, ha una strategia ibrida, che vede come la destinazione e non solo come una stazione di passaggio per arrivare al cloud. Infatti, l’università ha recentemente implementato cluster di calcolo ad alte prestazioni (HPC) in loco, dopo aver stabilito che l’on-premise era migliore di un’implementazione nel cloud pubblico.
“Siamo stati molto ponderati nel nostro approccio”, conclude. “Consideriamo ogni scenario in modo separato, per assicurarci che l’infrastruttura soddisfi le esigenze dell’utente o i servizi aziendali che sta cercando. L’infrastruttura esiste per soddisfare ciò che l’azienda vuole fare. Un ambiente ibrido può aiutare a realizzarlo”.
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