“Una donna sarà adatta?”. Questa la domanda che si è sentita rivolgere, alcuni anni fa, Barbara Marmello, quando l’IT Director di gruppo (un’azienda con sede negli Stati Uniti) l’aveva selezionata per il ruolo di IT Manager della filiale italiana. Questa filiale era frutto di un’acquisizione di una società italiana e la precedente proprietà aveva espresso il suo scetticismo di fronte alla scelta dei proprietari americani. Come a dire: una donna potrà unire competenze tecniche e manageriali?
“Il mio ruolo può avere molte sfaccettature e, soprattutto nelle realtà medio-piccole, è necessario essere versatili, oltre che, quando necessario, saper fare un po’ di tutto, anche se non ad altissimo livello”, spiega Marmello, oggi Group Head of ICT & ERP Enterprise di Joivy, multinazionale delle soluzioni immobiliari per vacanze, lavoro e studio. “So gestire progetti complessi, dirigo team IT sia funzionali che tecnici, ho un’esperienza estesa nell’implementazione di sistemi ERP, ma sono stata anche una programmatrice e mi sono occupata della riorganizzazione di reti e sale CED per migliorarne la sicurezza e l’efficienza. È un ruolo che offre continue opportunità di sperimentazione e apprendimento e, se interpretato nel modo giusto, favorisce lo sviluppo aziendale in modo significativo”. Ma, in alcuni settori e realtà più tradizionali, questa posizione è ancora percepita come ‘maschile’ e, in generale, nell’IT ci si aspetta che certe posizioni siano occupate dagli uomini, “come succede per CIO, CTO, CISO o per altri membri del Cda”, sottolinea la manager.
L’esperienza di Marmello descrive bene il difficile compito delle donne nell’IT: intaccare il pregiudizio secondo cui la tecnologia non è un lavoro al femminile. È un principio che, spesso, anche le donne applicano a sé stesse, col risultato che poche scelgono all’Università le materie tecnico-scientifiche (le cosiddette Stem, Science, technology, engineering and mathematics) e molte delle laureate in queste discipline, comunque, non perseguono la carriera nell’IT.
“Bisogna cambiare la cultura, c’è uno stereotipo originario che porta a ritenere che la facoltà scientifica non sia per le donne, e lo pensano le donne stesse, secondo quel diffuso bias per cui gli uomini sono più razionali”, afferma Laura Basili, presidente di Stem Women Congress (SWC) Italia. “Eppure, le donne hanno inventato il linguaggio Cobol, solo per dirne una. Ma la narrativa è tutta al maschile, e questo ostacola la formazione della consapevolezza del proprio potenziale da parte delle donne”.
La scarsa presenza di donne nell’IT aziendale è ancora più difficile da curare perché le competenze tecnologiche sono, in generale, insufficienti per soddisfare la domanda, e le aziende assumono le figure che riescono a trovare, per lo più uomini.
“Di conseguenza”, sottolinea Basili, “le donne CIO, e nell’IT in genere, sono davvero poche e anche quelle poche è come se non avessero voce: non vengono mai interpellate, sono invisibili”.
La tecnologia non è “da donna”?
Stem Women Congress (SWC), nato a Barcellona su iniziativa della Stem Women Association, quest’anno debutterà in Italia, a Milano, grazie a Orange Media Group, FMA Hub e Women at Business, in sinergia con il Comune di Milano e il Patto per il Lavoro. Secondo i dati del Report annuale 2023 di SWC, se tutte le bambine e le ragazze di età compresa tra 0 e 16 anni nel mondo optassero oggi per una carriera Stem, non si raggiungerebbe il 50% di presenza femminile nell’IT fino al 2050. I dati Eurostat dicono che le donne occupano solo il 22% di tutti i posti di lavoro tecnologici nelle aziende europee, e in Italia scendiamo al 15%.
Inoltre, da noi la media dei laureati Stem è del 6,7%, contro il 12-13% europeo, e solo 1 su 3 è di sesso femminile. Un altro dato è rilevante: secondo l’Osservatorio di Fondazione Deloitte, il 15% delle iscritte all’università italiane si trova in facoltà Stem, ma non tutte queste donne sono disponibili nel mercato del lavoro IT, perché spesso preferiscono altre professioni.
“C’è un contesto generale che non favorisce l’ingresso delle donne nelle professioni IT. Anzi, ancora prima, non le porta ad intraprendere percorsi di studio delle materie Stem”, commenta Basili. “Non ci sono modelli a cui fare riferimento, come le interviste alle donne, o le donne tra i personaggi dei libri di scuola”.
“Le donne non scelgono gli studi Stem, perché, spesso, non credono di potersi dedicare a queste materie e alle professionalità che ne seguono”, commenta Daniele Bacchi, CEO e fondatore di Reverse, società di head hunting. “Eppure, da ex sviluppatore di software, posso dire che le donne nell’IT sono molto brave, anche migliori degli uomini per la loro precisione e per la loro capacità di procedere con metodo.Le donne devono scegliere l’università con più fiducia e autostima”.
Il secondo problema, prosegue Bacchi, è lo scollamento generale tra le scelte universitarie dei ragazzi e le posizioni lavorative aperte: guardando alla scarsità di talenti IT che c’è sul mercato, sembrerebbe logico indirizzare gli studenti verso le materie Stem, ma non è quello che avviene.
“È vero che le donne laureate in materie Stem non sempre vanno a lavorare nell’IT, e questa scelta pure potrebbe essere frutto del preconcetto secondo il quale il lavoro in azienda non è facile da conciliare con la vita familiare”, dichiara Bacchi. “Ma oggi ci sono molti strumenti a favore del work-life balance, a partire dal remote working, e – tra l’altro – la fame di talenti IT è tale che i datori di lavoro sono più inclini a soddisfare le richieste delle loro risorse per attrarle e trattenerle”.
La diversity nei team è sempre un valore aggiunto
“Sicuramente le aziende devono investire di più sulle donne, sia perché anche nell’IT danno un grande valore aggiunto, sia perché la diversity nei team aumenta la creatività, la collaborazione, il dialogo e l’efficacia”, afferma Gabriella Vacca, Chief technology officer di Sky Italia. “Detto questo, però, è importante che cresca l’offerta di donne con competenze IT, donne che abbiano una formazione tecnica e un mindset tecnico-scientifico. Ma è anche necessario un cambiamento culturale che parta dall’educazione a casa e nelle scuole primarie, ancora prima che alle superiori, per stimolare le giovani ragazze a innamorarsi di ciò che la tecnologia può fare, e abbracciare le materie Stem nei loro studi. Le donne devono diventare più sicure di sé, più pronte a prendersi dei rischi e a mettersi in discussione senza paura di essere giudicate, senza farsi prendere dal senso di inadeguatezza”.
Anche per Marmello, “Sono le donne che devono credere di più in sé stesse e mostrarsi di più all’esterno, partecipare attivamente a incontri e dibattiti, far sentire la propria voce e far valere le proprie competenze. Ognuna deve dare l’esempio alle altre”.
Anche secondo Basili di SWC Italia, il superamento del tetto di cristallo parte dalla famiglia, dove le bambine devono essere educate sapendo che hanno le stesse potenzialità dei bambini. Così come è fondamentale la contaminazione tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro.
“Nel sistema scolastico andrebbero rivalutati gli istituti tecnici, che, difficilmente, rientrano tra le scelte delle ragazze; queste tendono semmai a studiare le materie tecniche all’università, pur se non sempre proseguono la carriera nelle imprese”, afferma Basili. “La forza lavoro nelle aziende tecnologiche è, ovviamente, anche fatta di donne, ma spesso arrivano da materie non-Stem e lavorano in aree come i social media, la CX o l’Interfaccia utente, non su aree più specialistiche o nei team esecutivi. Invece, sarebbe molto importante che le donne avessero una partecipazione paritaria allo sviluppo e alla crescita delle nuove tecnologie: pensiamo all’intelligenza artificiale, dove occorre addestrare i modelli con enormi moli di dati e il rischio è di alimentare la narrativa maschile, perché le storie sono tutte declinate al maschile. I modelli andrebbero addestrati senza alcun bias”.
Come le aziende possono combattere il gender gap
Le aziende possono intraprendere diverse azioni per aiutare a chiudere il gender gap nell’IT. Secondo l’EY European DEI Index (un’analisi sul tema della diversità e inclusione realizzata da EY, in collaborazione con FT-Longitude, raccogliendo l’opinione di 900 manager e 900 dipendenti provenienti da 9 Paesi europei, inclusa l’Italia), fra le azioni messe in campo dalle aziende le più frequenti riguardano il contrasto alla disparità di genere (70% del campione).
“Da quello che osservo nella nostra attività di head hunting, la tematica del gender gap nell’IT è molto sentita dalle grandi imprese”, commenta ancora Bacchi. “I grandi brand sono sempre più attenti alla diversity e all’inclusione e vorrebbero inserire in organico più donne. Solo che non c’è l’opportunità, perché i talenti IT sono scarsi e, in questo bacino già insufficiente, le donne sono una minoranza”.
La consapevolezza, dunque, è assodata. È il primo passo, sottolinea Gabriella Vacca, ma poi deve esserci anche il desiderio di agire per chiudere il divario.
“Noi in Sky, per esempio, abbiamo delle community dedicate che lavorano per superare il gender gap”, spiega la CTO; “si tratta di gruppi in cui si discutono e si cercano soluzioni alle problematiche femminili sul lavoro e cui partecipano donne e uomini in ugual misura, tutti impegnati nell’obiettivo delle pari opportunità”.
Ma serve anche trovare una soluzione al problema di base: come si possono assumere donne nell’IT visto che le risorse sono scarse?
“Bisogna andare a caccia dei talenti femminili con la forza del proprio brand”, risponde Gabriella Vacca, “dimostrando con esempi concreti la propria capacità di dare spazio e valorizzare i talenti femminili negli scenari tecnologici. Ed è questo che cerca di fare Sky, un’azienda in cui il leadership team guidato dal CEO, Andrea Duilio, è a maggioranza femminile, e questa diversità è un valore per il processo decisionale. Questo risultato si deve al lavoro fatto per il superare i gender gap dai vari leader aziendali e dalla nostra direttrice delle risorse umane, Francesca Manili Pessina. Non si può pensare di risolvere il problema del divario con una sola donna in un gruppo di lavoro. E anche nell’ IT, come in tutte le altre aree, ce ne vogliono tante quante gli uomini”.
Tra le azioni che le aziende possono intraprendere per chiudere il gap, Basili mette al primo posto la formazione: “Aiuta ad annullare il divario, perché quando si studia si riparte un po’ da capo”, osserva. “La prima cosa da fare, dunque, è prevedere corsi di formazione sulle competenze IT per tutto il personale, in modo che uomini e donne siano coinvolti alla pari. Ma c’è un’altra azione importante: portare in primo piano le donne che già sono in azienda e lavorano nell’IT, soprattutto nelle posizioni manageriali. Questo vale in generale: il gender gap riguarda la grande parte delle funzioni aziendali e dei Cda”.
Anche Alberto Dalla Francesca, Responsabile ICT di OMIS group (fabbricazione di macchine industriali), dà ai percorsi di formazione un ruolo fondamentale nell’incoraggiare la carriera delle donne nell’IT aziendale. Un altro elemento chiave è assegnare ruoli con crescenti responsabilità: questo aiuta la persona a crescere, a valorizzare le proprie capacità, ad acquisire fiducia e a scalare posizioni in azienda.
“Per esempio, alla nostra collega del team IT, che ho assunto tre anni fa, ho già assegnato diverse volte il compito di interagire con dei fornitori importanti”, riferisce Dalla Francesca.
Mentorship, modelli e esempi
A tutti i livelli è importante che ci siano le role model, i modelli a cui ispirarsi, ovvero donne che raccontano la loro esperienza o che, semplicemente, vengono chiamate come interlocutrici esattamente come avviene per gli uomini. Le donne nell’IT, o nelle posizioni manageriali, non devono essere viste come un caso eccezionale, ma come “normalità”. Le aziende, a loro volta, sono chiamate a fornire supporto alle donne durante la carriera, aiutandole a superare gli ostacoli e le discriminazioni che possono presentarsi lungo il percorso professionale.
“Questo è un ottimo incentivo anche alle neo-assunte, che vedono un contesto paritario dove le donne ci sono, sono soddisfatte e non discriminate”, sottolinea Basili.
Gabriella Vacca sottolinea anche il ruolo dei programmi di mentorship e di advocacy, in cui le donne vengono affiancate e sostenute nella crescita verso certi ruoli nell’IT attraverso una maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità, sbloccando i meccanismi dello sviluppo personale.
“Io apprezzo molto il lavoro che sta facendo l’associazione hackher_®, un progetto dedicato al superamento del divario di genere nella tecnologia partendo dal coinvolgimento delle ragazze negli istituti superiori affinché scelgano l’università libere dal pregiudizio per cui non sono adatte alle materie Stem. Anch’io ho costruito la mia carriera, fino al ruolo di CTO, grazie all’acquisizione di una maggiore consapevolezza, con un cesello continuo e superamento dei pregiudizi che la società ci inculca. Le donne devono diventare resilienti, andare avanti, magari a piccoli passi ma senza fermarsi, provare e avere fiducia in sé stesse. Dobbiamo credere di poter diventare quello che desideriamo”, conclude Gabriella Vacca.
E gli uomini che cosa ne pensano? Dalla Francesca di OMIS Group racconta di aver fortemente voluto una donna nel suo staff (un team di tre persone in totale). Inoltre, nelle varie funzioni business, Dalla Francesca ha nominato una serie di ICT Ambassador, e la maggior parte sono donne.
“I team eterogenei sono un vantaggio enorme, perché uniscono punti di vista e approcci diversi”, tiene a precisare Dalla Francesca. “Il mondo ICT sta cambiando molto: non richiede più solo le competenze tecniche, ma una serie di soft skill, come diplomazia e capacità di dialogare, e la mia esperienza è che le donne riescono meglio a combinare il profilo tecnico con quello human, mentre per gli uomini è meno facile. Osservo, però, che, nonostante per me sia naturale pensare alle donne nell’IT e ai vertici aziendali (la stessa OMIS ha un AD donna e un presidente donna), non è così per le altre imprese. Per esempio, nel CIO Club, di cui sono Delegato per il Veneto, le donne sono davvero un’esigua minoranza, anche se ora alla guida del Club c’è una donna, Imma Orilio”.
Magari sarà un incentivo ad emergere per le donne CIO, che sono sì, poche, ma spesso si tengono in seconda fila. Far sentire la propria voce sarebbe molto importante per far capire che l’IT ha anche un volto femminile e mettere insieme diversi approcci aiuta a sviluppare un’innovazione più equa e sostenibile.
CIO, IT Leadership, Women in IT
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