“Per noi è arrivato il momento di realizzare un forte cambiamento: una trasformazione del modo di operare abilitato dalla tecnologia”. Quanti CIO annunciano con parole simili la ‘svolta’ che imprimono alla loro azienda grazie alla digitalizzazione?
“Il digitale è riconosciuto come forte leva di business”, conferma Alessandra Luksch, Direttore dell’Osservatorio Digital Transformation Academy e dell’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano, che dal 2016 mappa i trend della spesa ICT delle organizzazioni in Italia. “Nelle grandi imprese, il digital journey è ormai ben avviato, soprattutto nei settori digitale, tlc & media, e finance”.
In altre industrie, e nelle imprese medio-piccole (ma con le dovute eccezioni), può capitare che la trasformazione digitale sia portata avanti in maniera non organica, con progetti a macchia di leopardo. Fino a che, una diversa volontà aziendale, e la vision di un nuovo CIO si uniscono per premere sull’acceleratore con un progetto a tutto campo la cui riuscita è, però, strettamente legata a una concomitante attività di accompagnamento verso la rinnovata cultura aziendale.
“Credo che il change management sia un tema fondamentale, che ogni CIO deve gestire”, afferma Andrea Roero, Chief information officer di Molteni, gruppo di aziende dell’arredo di design Made in Italy.
La sfida dei progetti di trasformazione digitale “non è tanto nella realizzazione tecnologica, ma nel cambiamento operativo richiesto alle persone e all’intera organizzazione aziendale”, evidenza Lucio D’Accolti, CIO di AMA, il più grande operatore in Italia nella gestione integrata dei servizi ambientali.
Trasformazione digitale: la data platform e il digital twin
AMA è tra le organizzazioni che stando imprimendo un forte slancio alla loro digitalizzazione. Dal 2000 l’azienda è una spa, con il Comune di Roma come unico socio. AMA ha circa 7.600 dipendenti, serve un bacino di utenza di quasi 2,5 milioni di persone, e la sua area di operatività si estende su una superficie di 1.300 kmq, da cui annualmente si raccolgono oltre 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti. AMA effettua le sue operazioni di spazzamento su un’area pari a 7 volte Milano e 10 volte Parigi, con un servizio organizzato 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Su questa base si innesta il complesso progetto di trasformazione digitale su cui l’azienda ha accelerato il passo dallo scorso anno, con l’ingresso del nuovo direttore generale e, poco dopo, del nuovo CIO D’Accolti. All’orizzonte c’è un appuntamento cruciale: il Giubileo del 2025, quando a Roma sono attesi 50 milioni di visitatori.
D’Accolti ha delineato il suo piano d’azione partendo dall’analisi della situazione esistente, da cui conseguono le iniziative da realizzare per preparare l’azienda al Giubileo. Ha poi proseguito con la parte degli acquisti di tecnologia secondo il nuovo Codice degli Appalti sulla piattaforma Consip, che permette di procedere con i progetti in modo veloce. Da qui si attua il progetto di digitalizzazione vero e proprio.
“Abbiamo iniziato con un’evoluzione del CRM per gestire il rapporto col cittadino e le varie richieste e segnalazioni: chi entra in contatto con AMA deve essere riconosciuto su qualunque canale (che sia il numero verde, l’email, il web o la app) e ottenere risposte coerenti in ottica multichannel”, dichiara D’Accolti. “Stiamo, inoltre, costruendo il digital twin di Roma, in modo da avere la replica digitale della città su una piattaforma GIS (Geographic Information System), dove la situazione dei nostri asset sul campo, ovvero i 600 mila cassonetti per i rifiuti, viene aggiornata in tempo reale in base alle segnalazioni; così possiamo avvisare i colleghi, direttamente sui loro smartphone, per eventuali interventi. Infine, il flusso delle segnalazioni e delle attività di AMA genera una gran mole di dati per il sistema SAP e, per essere più efficaci, cominceremo a gestirlo con una data platform e la business intelligence”.
AMA, infatti, raccoglie un’enorme mole di dati strutturati e non strutturati dai cassonetti, dai mezzi per la raccolta, dagli impianti, dalle segnalazioni degli utenti, e così via. Finora, questi dati restavano non correlati tra loro, gestiti con sistemi e interfacce diversi, tramite fogli Excel e Ppt. La trasformazione digitale implica il passaggio graduale alla nuova data platform per raccogliere e aggregare i dati dal data lake (con sistemi BIM, Business Information Modelling) e poi metterli su cruscotti e condurre le analisi con la business intelligence.
“L’obiettivo è mettere in relazione tutti i tipi di dati che riguardano gli asset e portarli nel digital twin per agire tempestivamente”, afferma D’Accolti.
Trasformazione digitale: BI, intelligenza artificiale e metaverso
L’IT come business partner è la visione che il CIO Roero ha portato in Molteni per attuare una trasformazione digitale a tutto tondo, che include la trasformazione della cultura aziendale.
“Il CIO deve dare valore aggiunto al business, non è solo il manager dell’IT inteso come gestione dei server e del networking e dei costi correlati”, sottolinea Roero. “Il CIO è un information & innovation officer e guida le implementazioni che hanno diretto valore per la crescita aziendale. Il suo contributo strategico significa, per esempio, la creazione e la facilitazione nell’efficientamento dei processi, di nuovi rami di attività e fonti di ricavi”.
Il Gruppo Molteni è un’eccellenza italiana nel mondo per i mobili di alta gamma, attiva da 90 anni, ma il percorso di digitalizzazione, inteso come pilastro della crescita futura dell’attività, è molto più recente. La proprietà, l’AD e il CIO hanno avviato una revisione del modello operativo in cui si inseriscono le implementazioni tecnologiche. Il progetto sarà completato nei prossimi anni, a breve-medio termine, e si compone di alcuni elementi fondanti: i software gestionali, la digitalizzazione del workflow, l’analisi dei dati e l’Intelligenza artificiale, le applicazioni AR, VR e il metaverso nei canali online.
Roero si è attivato nella raccolta delle esigenze di business per poter poi procedere con le gare per i fornitori, ai quali vengono chieste specifiche caratteristiche tecnologiche e di livello di servizio: ciò è indispensabile affinché le nuove implementazioni dei sistemi informativi siano funzionali al business. Il programma di digitalizzazione di Molteni prevede l’acquisto di “best in class tools”, sottolinea Roero, per facilitare il miglioramento continuo dei processi nelle aziende del gruppo (4 stabilimenti produttivi e 700 workshop nel mondo in due principali business line, Retail e Contract).
“Esistono metodi e sistemi diversi tra aziende e regioni geografiche e si usano ancora tante email, file pdf e addirittura fogli di carta per creare, condividere e salvare le informazioni”, afferma il CIO. “Siamo, dunque, impegnati a completare la digitalizzazione del workflow per fare un vero salto di qualità in termini di efficacia. Uniformare i processi significa uniformare la lettura del business e aprire il terreno a crescita organica e non”.
Un ulteriore elemento della digital strategy è rappresentato da un uso più significativo della Business intelligence (BI) per analizzare e visualizzare i dati. Roero ha in mente anche l’introduzione dell’intelligenza artificiale per rendere più fluidi e controllati i processi e rendere l’azienda data-driven.
Sull’intelligenza artificiale, il CIO chiarisce: “Per un’azienda come Molteni non significa adottare ChatGpt, una soluzione che ha generato tanto entusiasmo, ma che non è al momento utile per il nostro business case. Noi guardiamo alle tecnologie ‘tradizionali’ di intelligenza artificiale che permettono di snellire i processi interni, creando un lean back office e un lean production management, verificando il workflow. L’IA, per esempio, può sollecitare lo svolgimento di task rimasti in sospeso e diventati urgenti, oppure, nelle fabbriche, aiutare a limitare i consumi e gli sprechi ed evitare blocchi sulle linee di assemblaggio con la manutenzione preventiva e predittiva, grazie alla raccolta dei dati. Sempre nelle fabbriche, introdurremo progressivamente una Internet of Things (IoT) avanzata grazie ai macchinari connessi che offrono dati da analizzare. La fabbrica predittiva permette di essere proattivi nella gestione della business continuity e di unire anche l’aspetto di energy management in ottica di sostenibilità, rispetto dei sustainable development goals e risparmio sui costi. Abbiamo clienti del mondo del lusso che chiedono ai fornitori i bilanci di sostenibilità e quindi anche per noi è importante qualificarci all’avanguardia sui temi ESG rafforzando il paradigma di blockchain”, afferma Roero.
Altro elemento del progetto di digitalizzazione è il canale di vendita con applicazioni di realtà virtuale e aumentata (VR e AR) con impiego di Oculus Quest e applicazioni del metaverso per la configurazione del prodotto sul web. “L’obiettivo non è un vero e proprio e-commerce, molto difficile per il tipo di prodotto che vendiamo”, chiarisce Roero, “ma un modello più efficace di gestione del canale online su cui può far leva l’attività di lead management”.
L’imprescindibile connessione tra digital journey e change management
Nel complesso progetto di trasformazione digitale di Molteni, il punto di partenza – sottolinea Roero – è il rafforzamento della cultura digitale, ancora poco diffusa nelle business unit, “puntando a far capire come efficientare i processi. Le attività sono le stesse di sempre – gestire gli acquisti, vagliare i fornitori, controllare i conti, pianificare il time to deliver e il time to market, ottimizzare il lavoro delle fabbriche che comprano materiali e li trasformano in mobili – ma il modo di svolgerle è diverso. Con gli strumenti e i processi digitali si permette all’azienda di crescere e investire”, afferma il CIO.
Il change management è il vero cuore della trasformazione digitale, ancor prima delle tecnologie. Queste sono il necessario supporto: per esempio, nella nuova linea di business di Molteni “Contract management” (design e realizzazione di progetti su commessa di grandi clienti) è essenziale la capacità di verificare e mappare l’intera supply chain. “Si tratta di unire processi, cultura e tecnologia per arrivare al modello operativo omnicanale del futuro che ci siamo posti come obiettivo”, sottolinea Roero.
Anche per AMA, l’obiettivo di una veloce e ampia trasformazione digitale è perseguito innanzitutto con le attività di gestione del cambiamento e formazione di una nuova cultura aziendale. Il primo segnale del cambio di marcia è proprio nell’aver istituito la figura del Chief Information Officer, affidando il ruolo a un manager come D’Accolti che ha una lunga esperienza nel settore privato. Il primo compito del CIO di AMA è coinvolgere nella trasformazione digitale tutte le persone e rendere l’azienda attrattiva per i nuovi talenti.
“Conduciamo attività di change management in cui cerchiamo di portare in azienda anche l’esperienza di grandi attori del mondo privato per conoscere le best practice dei loro CIO e prendere spunti da rendere operativi”, riferisce D’Accolti. “Il passo successivo saranno le azioni di program management, per imparare ad affrontare programmi complessi e ambiziosi, aiutando le persone non solo a capire come lavorare con i nuovi strumenti tecnologici, ma anche a condividere la direzione strategica dell’azienda e gestire in modo più consapevole i fornitori”.
Secondo i risultati del più recente Osservatorio Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano, il 55% delle grandi imprese (+250 dipendenti) sceglie la formazione come primo metodo per portare in azienda un nuovo mindset su digitale e innovazione, mentre il 52% afferma di agire innanzitutto sui manager, cercando di dar forma a un nuovo stile di leadership, “in cui i dirigenti valutano in modo diverso le loro risorse, abbandonando il tradizionale controllo e lasciando spazio al lavoro per obiettivi, nonché considerando ogni persona come possibile fonte di innovazione”, evidenzia Luksch, “perché l’innovazione ha dei tempi rapidi ed è imprevedibile, e i manager devono saper portare nei team uno spirito di corporate entrepreneurship: tutti possono introdurre innovazione”.
L’Osservatorio del Polimi rivela anche che il 35% delle grandi imprese fa change management tramite attività come action learning, contest e hackaton interni per formulare idee nuove, mentre il 24% porta i dipendenti a lavorare a contatto con le startup. “In quest’ultimo caso”, evidenzia Luksch, “si tratta di una forma molto efficace di change management, perché è un’esperienza alternativa al lavoro usuale, che sviluppa non solo competenze, ma anche un forte senso di engagement”.
Questa “devozione all’impresa” è imprescindibile: in sua assenza, la digital transformation è destinata a restare incompiuta, perché, se è il CIO che la progetta, implementa e gestisce, sono tutte le persone in azienda a doverla, giorno per giorno, attuare e alimentare.
Change Management, Digital Transformation
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