Sviluppare un modello operativo capace di mettere insieme le funzioni di business, l’IT e le operation è uno dei compiti più difficili della trasformazione digitale, perché implica profondi cambiamenti nei processi e nei modi di lavorare, ha scritto McKinsey nello studio “Rewired to outcompete (giugno 2023)”. Per questo un numero crescente di CIO è attratto dai paradigmi dell’IT agile e “componibile” e del DevOps, che collegano sviluppo e operazioni, rendendo più facile creare le applicazioni che servono al business e mettere al centro la customer experience. Le aziende con un’architettura “a mattoncini”, anziché monolitica, sono capaci di garantire le loro prestazioni adattandosi a circostanze mutevoli e impreviste, come afferma Gartner nel definire la “composable enterprise”.
“Composability indica avere sistemi in grado di seguire il cambiamento e assecondarne la velocità, in contrapposizione con le architetture rigide”, afferma Manuel Zini, Distributed Systems and New Tech Senior Manager di Kirey Group. “Quanto più i sistemi IT sono grandi e complessi tanto più è difficile avere agilità nelle diverse componenti e garantire la business continuity”, prosegue Zini. “Il cambiamento continuo e repentino richiede, invece, architetture IT modulari, che danno all’azienda una velocità senza precedenti, perché l’IT è sempre pronto ad attuare la strategia. Per esempio, diventa molto più semplice creare un nuovo canale di vendita o erogare un servizio aggiuntivo per i clienti”.
Lo studio di McKinsey sottolinea come la spinta a cambiare dall’IT monolitico a quello componibile arriva dall’esigenza dell’impresa di far collaborare meglio le persone e portare al mercato un prodotto o servizio più competitivo e in linea con la domanda dei clienti. Ma la composability non è di per sé un prodotto – chiarisce Zini – bensì una serie di tecnologie che supportano le architetture modulari e di prodotti che aiutano a integrare questi moduli, creando il cosiddetto ciclo della composability: infrastrutture software-defined, strumenti di automazione, software open-source e sviluppo low-code, cui si aggiungono regole e best practice nell’acquisto dei nuovi applicativi affinché siano modulari.
Composability e DevOps, un esempio concreto
Metodologia Agile e DevOps sono esattamente la fondamenta su poggia la strategia di trasformazione digitale di Sisal, insieme ai continui investimenti in competenze e allo scouting delle migliori tecnologie sul mercato. L’azienda, uno dei principali operatori internazionali nel settore del gioco regolamentato, è attiva in 5 Paesi e opera sia nel canale retail sia nel canale online. Al centro della trasformazione in business digitale c’è lo sviluppo delle app mobili di Sisal, come illustra il Chief Digital Officer, Davide Filizola.
“Gli utenti vogliono usare le app per un numero crescente di attività: l’e-commerce, il banking, il food delivery, la prenotazione di un taxi, l’acquisto dei biglietti per il cinema, e così via. E se l’app non funziona bene, non c’è scampo: l’utente la rimuove e scarica quella del competitor. Al contrario, se l’app funziona, è uno strumento potente di fidelizzazione e retention. L’app è più strategica del web, e Sisal ci ha fortemente investito: oggi le nostre app sono usate da circa due milioni di utenti al mese”, afferma il CDO.
Filizola, che guida la Digital Factory di Sisal, composta da oltre 250 persone, ha puntato su due aspetti. Il primo è tecnologico, e prevede l’uso del linguaggio nativo per lo sviluppo delle applicazioni, al fine di ottenere una user experience ottimale. “Usando i linguaggi nativi per le app (Swift per iOs di Apple, Kotlin per Android), a fronte di uno sforzo maggiore da parte delle risorse interne, si ha un grande vantaggio di qualità”, evidenzia Filizola, “perché si sfruttano al massimo le proprietà degli Os Apple e Android offrendo all’utente la stessa esperienza cui è abituato per il proprio telefono, con le stesse caratteristiche, funzionalità, modalità di interazione e velocità”.
Il secondo aspetto su cui ha puntato il CDO di Sisal è di metodo, e implica l’impiego del paradigma composable per dare agilità alle fasi di sviluppo e test, flessibilità nella presenza su più mercati e – ancora una volta – qualità alla customer experience.
La customer experience e la scalabilità
La modularità, spiega Filizola, permette ritmi veloci di rilascio della app Sisal (la cosiddetta “fast release strategy”), con aggiornamenti che avvengono su base settimanale e modifiche graduali. In questo modo, non si crea discontinuità nella user experience, cosa che avverrebbe con release più diradate che ridisegnano in modo evidente la app, disorientando l’utente e intaccando la sua fidelizzazione.
Il vantaggio di questo modo di procedere è anche per gli sviluppatori di Sisal, che possono isolare meglio le singole funzionalità per verificarne le prestazioni e procedere a eventuali fix.
Un altro beneficio dello sviluppo modulare è la velocità con cui viene scalata e “personalizzata” la presenza multi-country di Sisal. Anche se siti e app hanno una base comune e omogenea, infatti, possono essere implementati moduli specifici per il singolo mercato.
“Per noi la modalità agile è essenziale, perché ci consente di lavorare velocemente e di essere sempre sul mercato con la versione migliore possibile del nostro prodotto”, evidenzia Filizola. “Anche per lo sviluppo dei nostri siti web (nella classifica 2024 di Casaleggio Associati sui siti di e-commerce più popolari, Sisal.it si posiziona al 22° posto in italia, 1° nel settore gaming) procediamo con processi agili e sviluppo modulare usando la tecnologia che riteniamo best in class (Adobe, nel caso dello sviluppo dei siti web)”.
I vantaggi per lo sviluppo software e il ruolo delle API
Anche per Miko Italia, che si occupa della tintura e del finissaggio della microfibra Dinamica, e che fa parte di un gruppo internazionale (Asahi Kasei Corp), la composability è la scelta d’elezione per lo sviluppo software, perché consente non solo agilità nella modernizzazione, ma personalizzazioni locali nelle piattaforme adottate su scala globale.
“Uno dei miei compiti”, evidenzia Cristiano Di Paolo, consulente interno del settore IT di Miko Italia, “è predisporre dei moduli software integrabili in modo da garantire le evoluzioni prossime delle piattaforme IT aziendali e dare risposta alle esigenze del business”.
Si tratta di un compito delicato, spiega Di Paolo, perché il business guarda ai risultati di breve termine, ma il capo dell’IT deve necessariamente rivolgere il suo sguardo più lontano, dando una risposta “armonizzabile con le scelte future dettate dalla capogruppo”. Lo sviluppo software modulare, su architetture non monolitiche, è l’unica che garantisce questa flessibilità e questa visione future-proof.
“Per procedere con questo modello il CIO deve possedere delle conoscenze a metà strada fra business e IT”, evidenzia Di Paolo: “deve saper interpretare le esigenze delle funzioni operative e commerciali, ma anche conoscere i prodotti sul mercato e scegliere quelli che rispettano di più il modello composable. Per me è uno dei parametri della selezione dei software per Miko Italia”.
Questo modo di procedere è stato già adottato per la scelta di alcuni applicativi: Miko ha talvolta fatto scelte diverse da quelle globali, perché meglio si adattano alle specifiche esigenze dell’attività altamente specializzata della fabbrica a Gorizia e, per modernizzare la piattaforma esistente, Di Paolo sta integrando applicazioni in modo composable.
Zini di Kirey evidenzia quanto, nella composability, sia centrale per i CIO scegliere le applicazioni in base alla loro capacità di essere divise in moduli e di abilitare metodi di integrazione maturi. “Occorre selezionare i software in modo oculato, verificare che le API scelte diano veramente flessibilità di integrazione”, sottolinea Zini. “Spesso se ne valutano le funzioni, ma non si analizzano a fondo le capability di integrazione, che invece sono essenziali per creare modularità. Poi, ovviamente, ci sono anche le piattaforme digitali ad hoc pensate per semplificare l’integrabilità”.
Come diventare un’azienda composable
Per costruire con successo la composability, la base di partenza è l’infrastruttura di integrazione, ovvero la maturità del contesto applicativo: i sistemi devono comunicare tra loro e devono farlo a livello architetturale. Occorre, dunque, “spacchettare” l’infrastruttura monolitica, o – spiega Zini – “segmentare le funzioni applicative in una serie di unità, che Gartner chiama chiama Packaged Business Capabilities (PBC), dove ogni PBC incapsula al suo interno funzionalità di business specifiche ed altamente coerenti, offrendo all’impresa una maggiore capacità di cambiamento e una più elevata rapidità nell’assemblare, smontare e riutilizzare team e tool a seconda delle esigenze”.
Nell’architettura modulare, infatti, l’IT si compone di “pezzetti di piattaforme” su un framework comune (che, a seconda delle strategie, le aziende si costruiscono da sé o acquistano sul mercato) gestiti come sistema autonomo, ma integrato. Ciò evita all’IT di dover cambiare l’intera piattaforma quando servono aggiornamenti o modifiche: è sufficiente intervenire su uno dei mattoncini o “building block”. Questo ecosistema tecnologico uniforme viene ricercato soprattutto dai CIO delle imprese che si interfacciano con l’utente finale tramite servizi, app mobili e siti web – come nel caso di Sisal – ma anche di diverse banche o PA italiane.
Non a caso, il citato studio di McKinsey è stato condotto su 40 big globali del retail banking nel corso di 4 anni e i 20 istituti con le prestazioni finanziarie migliori mostravano di aver adottato una strategia DevOps. Il modello seguito per attuare la composability può variare, a seconda delle esigenze e delle dimensioni dell’impresa: alcune banche hanno creato una digital factory (una funzione separata che costruisce le soluzioni digitali per l’azienda), altre hanno adottato lo schema product-and-platform (in cui i team vengono suddivisi tra chi si occupa di migliorare la user experience, e chi sviluppa servizi riusabili per accelerare il lavoro di tutti gli altri), altre ancora sono passate a una “agility pervasiva”, in cui le prassi della flessibilità vengono portate anche al di fuori delle aree technology-intensive dell’azienda per abbracciare l’intera organizzazione.
Le nuove competenze del CIO e del team IT
Nella strategia di Sisal c’è anche un altro elemento chiave: i centri di competenza. L’azienda ne ha tre, uno per lo sviluppo su Android per le app, un secondo per lo sviluppo su iOs sempre per le app, e il terzo per lo sviluppo su Adobe per i siti web.
“Sono entrato in Sisal tre anni fa e da allora l’area mobile è passata da 5 a 50 persone, con un importante investimento in recruiting e formazione”, evidenzia il CDO Filizola. “Per sviluppo web e mobile investiamo diversi milioni di euro l’anno sia sulle risorse umane, con attività di formazione e aggiornamento, che sulle licenze per i software che usiamo”.
La composability corrisponde anche a una nuova mentalità, che dà al modello modulare una valenza di business strategica e richiede, evidenzia Zini, un approccio organizzativo che assicura ai team dedicati all’integrazione sia autonomia che metodi standardizzati per la composability.
In definitiva, come sempre nella trasformazione digitale, l’approccio culturale è la parte preponderante e al CIO spetta un compito articolato e molto “moderno”: non solo guidare le implementazioni IT, creando architetture modulari by design, ma stimolare la consapevolezza della C-suite e l’evoluzione della mentalità nel suo team e nell’intera organizzazione.
Agile Development, Business Process Management, Digital Transformation
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