Il CIO evolve da manager dell’IT a leader strategico, guidando la collaborazione tra dipartimenti e l’innovazione aziendale. La sinergia con le linee di business e l’adozione di tecnologie come l’intelligenza artificiale diventano essenziali. Lo scrive IDC in una delle sue più recenti note di ricerca, sottolineando che, nei prossimi due anni, il 50% dei CIO collaborerà stabilmente con i dirigenti delle altre funzioni per sviluppare strategie di governance federata per regolamentare l’uso delle tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale generativa (GenAI). Il successo dei CIO non dipenderà solo da questa capacità di collaborare, ma anche dalla loro abilità di abbracciare stili di leadership fortemente innovativi.
“Oggi la caratteristica-chiave del CIO è sintonizzarsi con il business e anticiparne le esigenze. Il CIO deve capire anche gli aspetti soft di gestione delle persone. Per essere un Chief Information Officer di successo, insomma, non basta essere una figura tecnica, ma occorre avere una forte leadership nel team e comprendere le tematiche economiche, perché il CIO ha in mano il budget dell’area IT e decide gli investimenti da fare”, evidenzia Elettra Paladini, Senior Head Hunter del Gruppo Reverse, società di head hunting e middle-top management.
Le competenze nel curriculum del CIO
Nel più recente McKinsey Global Survey [in inglese] (sondaggio condotto a fine 2023 su 500 top manager della tecnologia e del business in 60 Paesi), le aziende con le prestazioni finanziarie migliori sono quelle che si sono trasformate in modo profondo con la tecnologia grazie a quattro azioni: hanno modernizzato architetture e piattaforme, si sono costruite un bacino di talenti tecnologici, hanno eliminato i silos tra i modelli operativi e hanno dimostrato il valore economico degli investimenti tecnologici. Un CIO che è capace di muoversi lungo queste quattro direttrici è avviato verso una carriera di successo: per questo deve costruirsi competenze manageriali e mostrare comprensione dei processi aziendali e degli aspetti economici.
“Nelle aziende, in generale, il ruolo del CIO sta cambiando molto”, afferma Marco Mazzucco, Chief Digital & Innovation Officer di Davines Group, gruppo italiano con sede a Parma dedicato al settore della cosmetica professionale. “In passato l’IT era visto soprattutto come centro di costo e il CIO rispondeva a figure preposte alla gestione operativa, come il CFO e il COO – tutti ruoli, tra l’altro, focalizzati sulla continuità aziendale e non certo sull’innovazione. Oggi la portata trasformativa delle tecnologie digitali è tale che non si possono relegare i CIO a un puro ruolo tattico: il loro ruolo è strategico perché hanno le competenze per guidare la trasformazione digitale, che è un cambiamento continuativo. E questo richiede che il CIO esca da un ruolo puramente operativo”.
Ovviamente l’esperienza tecnica completa resta la base, sottolinea Paladini di Reverse: il CIO, solitamente, non è un manager che viene dalle aree del business e le competenze ICT sono essenziali.
“Per chi è giovane e deve fare delle scelte di carriera, è positivo passare attraverso un’esperienza di consulenza, proprio perché permette di avere una formazione tecnica complessiva”, afferma Paladini. “Poi occorre aver fatto esperienza nella gestione di persone e aree funzionali. Tutto questo costruisce un CIO completo e moderno”.
Anche le competenze soft sono rilevanti. Paladini cita “empatia e capacità di ascolto”: è importante che il CIO sappia costruire e mantenere ottimi rapporti con tutti e crearsi una rete di relazioni in azienda che va al di fuori del suo team. Occorre, inoltre, una forte capacità di comunicazione.
“Non serve parlare di aspetti tecnici al business:al board meeting i C-Level pretendono che il CIO sappia spiegare il valore di business delle scelte IT. Questo fa acquistare valore all’IT agli occhi del resto dell’azienda”, prosegue Paladini. “Anzi, in generale, il CIO deve sapersi porre come interlocutore qualificato all’interno dell’intera organizzazione, deve essere un leader credibile e autorevole, in modo da farsi riconoscere il ruolo strategico che gli spetta e che gli permette di spingere l’innovazione in tutta l’azienda”.
Quando alle aziende serve il CIO
Paladini riferisce che sul mercato dell’head hunting è presente una richiesta di figure di CIO con queste caratteristiche innovative e la domanda cresce man mano che la digitalizzazione delle imprese italiane diventa più pervasiva. La consapevolezza del nuovo ruolo del CIO è in crescita, anche se non è universale: “Tante aziende sono indietro e non sono ancora passate a vedere l’IT come strategico”, osserva Paladini.
In Italia, infatti, non sempre le imprese hanno un Chief Information Officer. Nelle aziende medio-piccole prevale l’IT Manager, una figura per lo più tecnica e legata agli stretti compiti IT. Ma, come sottolineaLuca Berton, Principal-Technology and Digital di Chaberton Professionals, quando un’azienda punta alla crescita necessita di un cambio di mentalità e, conseguentemente, ha bisogno di un CIO nella sua accezione più vera.
“Una piccola azienda può operare efficacemente con un IT manager – anzi, introdurre un Chief Information Officer comporterebbe costi non giustificati dai reali benefici che ne consegue”, afferma Berton. “La transizione verso un CIO diventa, invece, cruciale quando l’azienda punta all’espansione e all’internazionalizzazione, poiché le grandi organizzazioni richiedono processi e strumenti completamente diversi”.
Ovviamente, il lavoro del Chief Information Officer non riguarda un singolo progetto: è un’opera di trasformazione. Le aziende devono investire in modo continuativo per far evolvere il proprio IT e produrre veramente il vantaggio competitivo. Per questo, solitamente, il ruolo del CIO è di lungo periodo.
Il CIO “fa carriera”
Se le imprese che vogliono diventare delle digital company devono agire sulla loro cultura e assumere un Chief Information Officer, anche il manager che vuole essere assunto come CIO in un’azienda grande deve fare dei cambiamenti. Se ha sempre lavorato in realtà medio-piccole dovrà formarsi in ruoli manageriali all’interno di multinazionali dove segue progetti di un certo rilievo e dimensione, magari non come CIO, ma sempre nell’ambito di un’organizzazione strutturata e a capo di qualche business unit. Questo gli permette di costruirsi un’esperienza che lo aiuta a “fare carriera”.
“Le grandi aziende e le multinazionali oggi ricercano CIO con esperienza internazionale consolidata e competenze trasversali. Difficilmente prenderanno in considerazione un IT manager o un CIO proveniente da una PMI”, afferma Berton. “Per questo, suggerirei a un Chief Information Officer ambizioso di fare un’esperienza intermedia in una grande azienda o multinazionale, anche in un ruolo di Head of oppure di Deputy CIO. Questo percorso gli permetterà di acquisire le competenze necessarie per poi candidarsi come CIO di una grande organizzazione”.
Ma c’è un elemento in più. Il cambiamento da IT tattico a strategico è accelerato dall’AI, che agisce come una forza dirompente e oggi fa da motore per la carriera del CIO.
“Il CIO deve sapersi prendere il compito di gestire le tecnologie più innovative o rischia di perdere importanza”, secondo Mazzucco. “Altrimenti arriverà un Chief Digital Officer, o un Chief AI Officer, e il CIO resterà un manager dell’IT privo di rilevanza strategica. Il Chief Information Officer, invece, è nella posizione di capire queste tecnologie e guidarle e, se saprà farlo, la sua leadership in azienda sarà assicurata”.
L’impatto della trasformazione dell’AI
Per Mazzucco, l’AI è come un cavallo di Troia per la carriera del CIO: introduce all’interno dell’azienda una tecnologia innovativa e dirompente e il CIO si deve candidare a farsene il leader: “L’AI è pervasiva e solo il Chief Information Officer, che conosce tutta l’azienda, i suoi processi e i suoi dati, può occuparsene. L’AI apre molti spazi al CIO per salire di ruolo”.
Ovviamente ciò richiede che il CIO sappia parlare con il business e gestisca a tutto tondo il cambiamento, padroneggi cioè l’arte del change management.
“È finita l’epoca dei progetti IT che il reparto hi-tech svolge da solo”, secondo Mazzucco. “Le tecnologie non sono neutre rispetto ai processi e alle competenze dell’azienda e il business deve essere coinvolto. Al tempo stesso, l’IT conosce meglio di tutti i processi aziendali ed è una struttura fatta apposta per gestire i progetti”.
Il CIO, dunque, ha tutte le carte in regola per essere un vero leader aziendale. È un leader che, secondo la guida di PageGroup sugli stipendi e le tendenze del mercato del lavoro 2025, dovrà conoscere sempre meglio anche le tematiche della sostenibilità (ESG) e della compliance normativa, legata a stretto giro all’uso dell’AI. Un direttore IT con 5-10 anni di esperienza resta una figura ambita, come tutti i profili ICT: anche per questo può aspirare a un guadagno compreso tra 60 mila e 100 mila euro lordi all’anno, ai quali si aggiungono bonus e benefit.
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