Quando parliamo con i CIO di intelligenza artificiale la maggior parte dei manager si mostra entusiasta ma, al tempo stesso, realista. La frase che sentiamo ripetere è: “C’è molta confusione oggi, e molto marketing. Tutto viene presentato come AI”. Ma i CIO vogliono conoscere le tecnologie che implementano e procedere con ordine: prima dell’intelligenza artificiale bisogna avere la data governance. Anzi, la data strategy.
“Usiamo l’AI in campi specifici, ma la base è la qualità del dato: per questo siamo partiti con una data strategy sia tecnologica che operativa, definendo l’architettura della piattaforma per poi definire la governance”, spiega Sara Volino Coppola, Chief of Information & Digital Office di Alia Servizi Ambientali, multiutility toscana. “Abbiamo avviato il processo disegnando i vari domini dei dati con i sottodomini e il relativo responsabile”.
Qualità del dato e ownership: sono queste le fondamenta su cui costruire la strategia sui dati e, di conseguenza, quella sull’intelligenza artificiale.
La piattaforma al cuore della strategia
Volino ha sempre creduto nel valore dei dati e ritiene che per realizzarlo occorra una data platform unica, almeno concettualmente (“un unico punto in cui vederli”, afferma), con logiche di data mesh.
Inoltre, la CIO è convinta che occorra evitare di avere più di una replica del dato, perché ogni replica è sempre soggetta a una regola di trasformazione e, più sono le repliche, più si rischia di creare disallineamenti e, quindi, di incorrere nell’errore.
“Un’unica data platform logica garantisce un unico dato certificato”, osserva Volino. “È fondamentale avere una mappa dei dati chiara e condivisa con tutta l’azienda, così come definire il data master. È faticoso lavorare così, ma non c’è alternativa: bisogna evitare la duplicazione e il proliferare dei sistemi slave. Il mio principio è: ricevere il minimo indispensabile dei dati dal sistema master e lavorare sulle API. Per esempio, il CRM e il motore di fatturazione hanno entrambi i dati sulle fatture e questi si possono vedere tramite le API senza duplicare i dati. Bisogna ragionare nell’ottica del massimo ordine e riduzione delle ridondanze negli applicativi simili, se no i tanti sistemi danno vita a più dati col rischio che i report contengano informazioni incoerenti”.
Un fondamento per l’integrazione dell’IT
Il data management come base per l’implementazione dell’AI è la linea guida anche di Diego Cilea, CIO di Surfaces Group (azienda del settore chimico che produce utensili per la lucidatura delle piastrelle con una forte quota di mercato sia in Italia che all’estero). Anzi, più che di gestione si tratta di una vera e propria strategia, per la quale Surfaces ha anche assunto nuove persone, in modo da far entrare in azienda le competenze necessarie per gestire la complessità.
Il pilastro della strategia è, ancora una volta, la piattaforma: “Un contenitore posizionato su cloud e connesso a diverse funzionalità di trasformazione dell’informazione dove tutte le società del gruppo si integrano a livello di dati”, tiene a precisare Cilea. “I dati qui depositati dalle nostre varie funzioni e aziende a livello globale vengono presi dalla piattaforma, che li lavora, li pulisce, li rielabora e li analizza, permettendo di farli arrivare negli applicativi aziendali, come il CRM, il sistema HR, la BI, il Financial Reporting o il MES in fabbrica, inclusi i sistemi legacy. Il risultato è una sola fonte della verità e un’infrastruttura pronta per analytics avanzati”.
Cilea riferisce che il progetto della data platform ha reso possibile non solo la reportistica, ottenendo insight di difficile reperimento, ma anche il confronto di performance per linee produttive, linee di business e stabilimenti, e l’abilitazione a progetti futuri, tra cui proprio l’AI, la simulazione e la manutenzione predittiva.
“Senza dati di qualità non ci può essere intelligenza artificiale in azienda”, dichiara Cilea. “Ma prima ancora – evidenzia il CIO – questa strategia ci ha consentito l’armonizzazione tra le varie società del gruppo sui master data: c’era bisogno di un dizionario e di una grammatica comuni sui dati”. La data strategy è, infatti, essenziale perché Surfaces Group è cresciuta – e continua a crescere – tramite acquisizioni e, quindi, non è detto che gli applicativi siano comuni. Per evitare una complessità dell’IT ingestibile, la data platform unica e il cloud garantiscono un livello vitale di integrazione e semplificazione.
La qualità del dato alla base delle implementazioni AI
Stefano Gatti, esperto di dati e analytics, autore del libro La Cultura del Dato, ribadisce: “Garantire la qualità dell’informazione significa recuperare la storia e la semantica di quel dato all’interno dell’azienda per renderle esplicite, affinché possano essere utilizzate dalle persone e dall’AI. Non dimentichiamo, infatti, che, prima ancora che all’intelligenza artificiale, il dato di qualità serve alle persone”. È, a sua volta, un processo che richiede l’intelligenza umana accanto a quella della macchina.
Gatti chiarisce che l’AI non risolve il problema della qualità del dato, perché “essa riguarda la gestione della conoscenza aziendale e la descrizione quali-quantitativa del dato”. E spiega che la collaborazione tra intelligenza umana e AI richiede che le persone con conoscenze sui dati siano formate e supportate nell’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale.
“Occorre evitare forme di neo-luddismo, in cui le tecnologie di intelligenza artificiale applicate ai dati (e non solo) sono viste come nemiche del lavoro umano e, quindi, boicottate”, sottolinea Gatti. “La formazione serve a guidare le persone verso un utilizzo corretto dell’AI come scelta consapevole di uno strumento che aiuta nella gestione del dato, non come un pericolo”.
Evitare che l’intelligenza artificiale venga boicottata è compito anche del CIO e dei C-Level: il loro entusiasmo per questa tecnologia come potente mezzo di efficientamento non deve far dimenticare l’importanza degli investimenti nelle persone. Se queste perdono la fiducia nell’AI, l’implementazione aziendale sarà ostacolata o risulterà poco proficua.
Secondo Gatti, “Si parla spesso di data science, ma per gestire l’AI applicata ai dati serve più un’arte che una scienza. Il CIO dovrà dimostrare capacità di comunicazione verso le sue persone e verso tutti gli owner dei dati, instillando un senso di fiducia, quasi di confort, nell’applicazione delle nuove tecnologie”.
La questione dell’ownership
I CIO sono consapevoli del loro ruolo su dati e AI, ma sono anche convinti che la partecipazione debba essere trasversale. In alcune imprese, la data governance è addirittura attribuita a direzioni operative esterne all’IT, perché non è l’IT l’owner: la qualità del dato è responsabilità del business.
Cilea è tra i manager che sottolineano questo aspetto: il successo della data platform dipende dall’organizzazione e dalla chiara definizione dell’ownership del dato e questa è tipicamente nel business.
“Per avere dati di qualità servono degli owner che supervisionano i dati e ne conoscono il contenuto e questi sono spesso i responsabili di processo o utenti chiave del business”, afferma Cilea. “I dati non si governano da soli; l’owner del dato, dunque, è chi guida il processo. Per questo abbiamo lavorato molto sulla formazione di una cultura interna e sull’affiancamento degli owner per renderli sempre più autonomi, con persone dell’IT che agiscono come supporto per un’eventuale correzione del dato e che svolgono una fondamentale funzione di dialogo tra l’IT e le funzioni aziendali”.
Questo fa sì anche che l’IT non sia percepito più come mero fornitore interno, ma come partner strategico del business.
Volino si muove sulla stessa falsariga: nella data strategy l’IT si occupa del coordinamento e della direzione e garantisce la trasformazione corretta del dato. Ma è il business che deve dare all’IT i controlli da applicare e che definisce gli use case.
“I data product di Alia sono costruiti all’interno con i data scientist dell’azienda, coordinando i fornitori, ma realizzandoli sulla base dell’analisi fatta dai colleghi del business”, afferma la CIO. “Quando il business è autonomo nell’uso dei dati si velocizza il time to market e si contengono i costi, visto che i servizi implementativi sono esternalizzati, mentre le attività di analisi dei dati e di simulazioni possono essere svolte da risorse interne all’azienda”.
Le competenze sugli algoritmi restano in casa
Secondo Volino, le persone del business devono essere portate a ragionare in modo strutturato sui dati: non è facile, ma è importante che si rendano responsabili della loro qualità e della loro fruizione.
“Realizzare una data governance è un compito più complesso rispetto all’impostazione della tecnologia, perché è necessario l’impegno di tutte le persone e un cambiamento culturale non banale”, evidenzia Volino. “Il business si aspetta il risultato finale ed è abituato a demandarlo all’IT. Invece, definire e usare i data product esige una partecipazione attiva e richiede di astrarsi dalla singola attività per una vista a tutto tondo, strategica”.
Un altro elemento importante evidenziato da Volino a è quello delle competenze sull’AI. Alia (come molte aziende) ha esternalizzato lo sviluppo sulle piattaforme, ma gli algoritmi vengono sviluppati principalmente in casa, perché sono il cuore del know-how.
“Io penso che nella parte di sperimentazione dell’AI ci siano delle scelte strategiche: quindi è meglio tenere questa attività in casa e non condividere il proprio lavoro col fornitore esterno”, afferma Volino. “Per esempio, se ho un’idea per commercializzare un nuovo prodotto o voglio inserire una nuova funzione che aumenterà la retention dei clienti, preferisco non condividere questo sviluppo col fornitore, ma tenerlo confidenziale, perché ne potrebbe derivare un vantaggio competitivo”.
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