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Le competenze-chiave del CIO di oggi sono tutte “soft”

Il ruolo del Chief Information Officer è senz’altro uno dei più dinamici nella suite esecutiva aziendale: prima la trasformazione digitale e adesso l’arrivo dell’AI continuano a ridefinirne compiti e caratteristiche. L’evoluzione è così profonda che le competenze chiave del CIO nel 2025 sembrano essere tutte “soft, a quanto svelano i CIO stessi.  

Antonio Tosato, Regional IT Manager di Parker Hannifin, Filtration Group (sistemi di filtrazione e separazione), EMEA, afferma per esempio che la prima capacità del CIO è, in assoluto, quella di comunicazione. 

“In una multinazionale come la mia bisogna saper mediare tra le esigenze di tutti gli stakeholder, dagli operatori delle fabbriche più remote al top manager IT della sede centrale”, dichiara Tosato. Ne consegue che un’altra caratteristica essenziale del CIO è capire i contesti, ovvero “Saper parlare al CEO e al business senza tecnicismi”.

Il CIO deve dare prova di trasversalità

Avere capacità di collaborazione e interazione sono le caratteristiche centrali del CIO anche per Flavio Luciani, Direttore tecnico (CTO) di Namex, il più importante Internet Exchange Point del centro-sud Italia.

“Si tratta di capacità di collaborare sia all’interno dell’azienda sia all’esterno con clienti e partner. La collaborazione interna è essenziale per interagire con il team, che può essere – come nel mio caso – molto eterogeneo”, evidenzia Luciani. “Il Chief Information Officer è quasi uno psicologo che capisce le specifiche caratteristiche, competenze e attitudini di ciascuno e come queste possono essere messe al servizio del team e dell’azienda. Il CIO deve saper indirizzare le persone verso i compiti e i ruoli in cui riescono meglio. E deve fare da collante: è anche da lui che dipendono un team unito e il dialogo del team IT con le altre funzioni”.

Nell’interazione tra i vari dipartimenti il Chief Information Officer deve dare prova di competenze trasversali, perché deve conoscere come funzionano i processi e il lavoro negli altri team. 

“È importante che il CIO sappia dialogare con la parte commerciale che vende, con la comunicazione che racconta, con la direzione che deve finanziare i progetti e portare avanti le attività, persino con i clienti”, afferma Luciani.

“A prescindere dalla tecnologia e dalle varie componenti, penso che questa figura debba avere una conoscenza generale dell’azienda, di tutti i processi e le attività, e deve saper parlare tante lingue diverse per dialogare con le altre divisioni”, conferma Marco Poponesi, ex CIO di aziende italiane della manifattura con 40 anni di esperienza nell’IT. “Io ho iniziato come programmatore e mi sono formato con corsi interni e con la pratica sul campo. Il valore aggiunto che il Chief Information Officer porta è saper capire le problematiche aziendali e offrire soluzioni per ottimizzare i processi, modellare i workflow e creare una struttura replicabile”.

La dote del People Management

Una seconda dote del CIO, in parte correlata con la prima, è saper gestire i collaboratori interni, evidenzia Poponesi. Per esempio, potrebbe trovare utile dividere le sue persone tra area dei sistemi e area applicativa, ma dovrà comunque farlo guardando alle inclinazioni specifiche di ogni collaboratore: un giovane assunto per l’area applicativa potrebbe rivelarsi più adatto a quella sistemistica e deve saper cogliere queste attitudini e valorizzarle, spostando le persone dove lavorano meglio.

Inoltre, per un efficace People Management, il Chief Information Officer deve coltivare la propria credibilità.

“L’esempio conta più delle parole”, dichiara Poponesi. “Io ho sempre preferito instaurare un rapporto paritetico con le persone del mio team, purché da parte dei colleghi ci fossero onestà e trasparenza”.

Anche il CIO deve potersi fidare delle sue persone, visto che è una figura sempre meno tecnica e deve necessariamente demandare. È questa l’esperienza quotidiana di Paolo Sicca, Group CIO di Industria Grafica Eurostampa. Ora che Eurostampa, azienda manifatturiera che produce etichette ed astucci di alta qualità con specializzazione negli ambiti wine & spirits, champagne, cioccolate, food & beer, beauty, è a tutti gli effetti una multinazionale con stabilimenti produttivi in 7 Paesi, il lavoro di questo manager è sempre meno operativo e sempre più di guida e controllo, mentre la parte operativa è demandata al team IT. Come far funzionare al meglio il team? Sempre con le abilità da People Manager.

“Nessuno deve lasciare l’altro da solo”, afferma Sicca. “Se un tecnico del nostro stabilimento inglese è in difficoltà non c’è orario che tenga: si va in aiuto del collega per risolvere presto e bene unendo l’esperienza di tutti. Sono riuscito a costruire questa coesione lavorando costantemente sul mantenere un clima sereno e nutrendo l’entusiasmo delle persone. Ho anche la fortuna di avere l’azienda dalla mia parte, che approva incentivi, promozioni o altre gratifiche per rendere le persone sempre più motivate e fidelizzate. Io chiedo impegno, ma l’impegno viene giustamente premiato”.

“Il mio modo di gestire i talenti è far crescere le persone”, afferma Alberto Dalla Francesca, CIO di Omis Group (fabbricazione macchinari industriali). “Punto su un’interazione costante, dando continui feedback e stimolando le persone. Soprattutto i giovani tendono ad annoiarsi, dar loro delle sfide continue è essenziale e loro le accettano volentieri”.

Del resto, quando assume, Dalla Francesca non dà rilevanza decisiva alle competenze tecniche, ma all’atteggiamento. “Cerco la voglia di mettersi in gioco, di fare, di evolvere”, afferma.

L’interazione con le nuove generazioni

Un’altra caratteristica essenziale del Chief Information Officer è proprio saper interagire con le nuove generazioni, abituate a un mondo con meno gerarchie e poco propense a eseguire gli ordini senza capirne le motivazioni.

“I CIO devono evolversi e guardare al mondo attraverso gli occhi della Generazione Z”, sottolinea Luca Berton, Principal-Technology and Digital di Chaberton Professionals. “Questo rende la leadership più sfidante: è fondamentale sviluppare un’intelligenza emotiva che permetta di comunicare efficacemente con diverse generazioni e comprendere le aspettative dei più giovani. Dobbiamo adattarci alle esigenze della Generazione Z, offrendo modalità di lavoro in linea con le loro aspettative – come la flessibilità – ma al tempo stesso dobbiamo essere in grado di responsabilizzare i collaboratori e mantenere vivo il senso di appartenenza”.

È essenziale creare un ambiente IT stimolante, dove l’apprendimento continuo è centrale, perché la Generazione Z ha una forte spinta verso la conoscenza, osserva Berton.

Dalla Francesca conferma: “I giovani sono molto curiosi, fanno tante domande, hanno sete di sapere e per il CIO è importante capirli e coltivare il loro talento”.

Il manager prosegue: “In Italia abbiamo giovani molto bravi e Omis sta lavorando con decisione per attrarli in azienda. Abbiamo definito dei valori e dei principi e puntiamo su questi per portare a bordo e fidelizzare i talenti: per esempio, tra le linee guida c’è il prendersi cura delle persone e io mi prendo cura del mio team, così come le mie persone si prendono cura dei colleghi, dei partner e dei clienti”.

La leadership che “fa accadere le cose”

Secondo Massimo Bollati, Direttore della Trasformazione Digitale dell’Agenzia del Demanio, la leadership è un altro elemento fondamentale: saper riconoscere le competenze altrui, trasmettere entusiasmo e voglia di fare bene, avere la visione e “fare accadere le cose”.

“Meno riunioni, più lavoro: i progetti vanno fatti, concretamente”, afferma Bollati. “Nelle aziende, ma soprattutto nelle PA, è necessario raccontare l’IT e mostrare concretamente che i progetti hanno un inizio e una fine, portando un valore anche quantificabile: è così che – anche all’interno delle Direzioni IT – si creano entusiasmo e motivazione. Se la discussione preliminare dei progetti rimane di alto livello e non si chiariscono obiettivi e valore, è facile che le persone si demotivino. Noi ci stiamo dando una precisa disciplina: chiudere i progetti alla chiusura del bilancio, ovvero chiudere fasi autoconsistenti. Così abbiamo obiettivi che determinino la rotta e siamo in grado di rilasciare soluzioni digitali incrementali con continuità”.

Nel Demanio è considerato fondamentale anche il governo dell’intera area della trasformazione digitale tramite PMO (Program management office), dove vengono misurate le prestazioni e gli obiettivi delle persone. “Questo dà a tutti una direzione e un senso di scopo”, sottolinea Bollati. 

La visione di mercato: le community

Le competenze hard, ovviamente, restano molto importanti per i CIO e la sfida oggi è la velocità con cui le tecnologie evolvono. Per essere sempre al passo, occorre saper guardare fuori dal proprio contesto, viaggiare e partecipare alle community.

“Il CIO deve seguire lo sviluppo tecnologico in modo consapevole guardando anche a che cosa accade nell’ecosistema, fuori dalla sua azienda e dalla sua regione geografica, seguendo i trend e i casi d’uso che potranno arrivare a impattare il suo mercato o la sua azienda e cercando di essere un passo avanti”, afferma Luciani di Namex. “Questo lo si ottiene viaggiando, presenziando a conferenze, partecipando alla comunità di riferimento. Così il CIO mantiene una visione strategica sul macro-contesto per collegare IT e business e aiutare la sua azienda ad evolvere per restare competitiva”.

L’AI cambia tutto: il CIO è uno stratega con sempre più soft skill

“È molto importante oggi allenare le competenze soft, è un concetto che propongo spesso ai CIO”, commenta Luca Grivet Foiaia, Technology Consulting Leader di EY Italia. “Soprattutto con la diffusione dell’AI in azienda, i CIO devono cambiare prospettiva, perché questa tecnologia è profondamente diversa dalle precedenti”. 

Grivet spiega che finora siamo stati abituati ai sistemi binari: zero o uno, corretto o errato. Ma l’intelligenza artificiale ha una forte componente probabilistica e una sorta di zona grigia che si insinua in quella dicotomica certezza tipica dell’IT. Chi usa l’AI (e sono sempre più persone in azienda) deve esserne consapevole, perché con questa tecnologia occorre interagire. 

“Per questo il CIO deve lavorare sulle competenze soft proprie e degli utenti interni, incluse le persone del team IT”, indica Grivet. “Non bastano più le sole skill tecniche, il rischio è di sviluppare e implementare un prodotto AI che l’IT consegna al business ma che nessuno riesce a usare con efficacia”.

Un’altra abilità immancabile per il CIO, secondo Grivet, è quella di creare l’engagement nelle persone: anche questo è necessario per assicurarsi l’adozione dell’AI e la generazione di valore.

Un “tuttologo” che da centro di costo si trasforma in valore

Molti CIO fanno notare che il loro ruolo oggi non è più, come nel passato, chiuso nel mondo tecnologico. Il Chief Information Officer deve essere pieno conoscitore dei processi e delle strategie aziendali. Dovrebbe essere così preparato sugli ambiti verticali dell’azienda da potersi sedere con i direttori delle altre aree, quasi sostituirli. Il CIO è il “tuttologo” dell’azienda, almeno dei suoi ambiti core.

“Il CIO ha una visione ampia di tutta l’azienda, insieme al suo team ne conosce ogni aspetto operativo”, sottolinea Marco Mazzucco, Digital & Innovation Officer di Davines Group. “Sfruttando queste competenze può diventare un vero motore di trasformazione organizzativa. Oltre a un’opportunità, per me questa è anche una passione: da sempre mi interesso di change management, di business agility e, più in generale, di innovazione organizzativa, e penso che queste siano competenze chiave per un Chief Information Officer strategico”. Mazzucco è stato anche tra i primi in Italia a certificarsi PROSCI ADKAR Change management practitioner.

Questo è, dunque, il CIO del futuro: tanti Direttori IT italiani sottolineano di non voler più essere percepiti come “centro di costo” ma come “punto di valore” che serve per portare avanti le iniziative di innovazione dell’azienda.

Comunicare, mediare, capire

La comunicazione, la prima dote che abbiamo elencato, torna ad essere la qualità essenziale: il CIO che vuole essere riconosciuto nel suo ruolo più alto deve sapere costruire i business case parlando la stessa lingua del CEO e del board.

Come indica Tosato di Parker Hannifin: “Ognuno ha visioni e aspettative diverse e il Chief Information Officer deve sapersi spiegare declinando le argomentazioni in base a chi ha di fronte”.

Il CIO deve anche essere intuitivo a sufficienza da capire quali confini ha nel proprio lavoro: per esempio, limiti nel budget, lunghe procedure per le assunzioni o negli acquisti (come nella PA), la volontà dei proprietari o, nel caso delle società quotate, l’esigenza di soddisfare gli investitori.


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Source: IT Strategy

Category: NewsMay 13, 2025
Tags: art

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