Le tecnologie per la trasformazione digitale non fanno la trasformazione digitale. Lo sanno bene i CIO, anche quando aumentano i loro investimenti IT: gli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano prevedono per l’Italia una crescita dell’1,5% dei budget in ICT delle imprese, in linea con il trend degli ultimi nove anni (pur se con un tasso leggermente inferiore rispetto al 2023). Sul lungo periodo, e considerando l’area EMEA, IDC [in inglese] prevede che la spesa per la trasformazione digitale supererà i 1.200 miliardi di dollari nel 2028, registrando un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 15,8% sul periodo di previsione 2024-2028.
Intelligenza artificiale e cloud stanno sostenendo il CAGR a due cifre, ma la trasformazione digitale non si esaurisce negli investimenti tecnologici: formazione, comunicazione e change management sono i veri abilitatori.
Trasformazione digitale e change management
Emblematica l’esperienza di Paolo Sicca, Group CIO di Industria Grafica Eurostampa (azienda manifatturiera che produce etichette e astucci di alta qualità con specializzazione negli ambiti wine&spirits, champagne, cioccolate, food&beer, beauty).
“L’introduzione della business intelligence (prima con Board e poi con Power BI) ha richiesto un grande lavoro di change management, perché da una fruizione del dato poco sofisticata e organizzata e molto fai-da-te, siamo passati a un data warehouse consistente e verificato”, riferisce Sicca.
Il lavoro tecnico di questo CIO è quello tipico dell’ICT di una multinazionale distribuita. I prodotti per la digitalizzazione sono gli stessi che molte altre aziende adottano, compresi quelli di BI, considerati un cardine per fornire al management dei report adeguati e un passo in avanti verso la modernizzazione. Ma la differenza sta nell’accompagnamento all’innovazione.
“Il change management è stato complesso, come sempre accade”, ammette Sicca. “Il segreto del successo è l’endorsement della proprietà e dei top manager, che hanno abbracciato il progetto e creduto fin da subito nell’utilità di report affidabili”. La volontà dei vertici, infatti, ha permesso di portare avanti la trasformazione digitale “in modo sostenuto e sostenibile”. Ciò agevola la gestione e l’accettazione del cambiamento.
La riprova è in un altro progetto condotto da Sicca per Eurostampa, quello della “paperless factory”, ovvero il passaggio da processi basati completamente su supporti cartacei a processi gestiti interamente su workflow e con documenti digitali.
“Il cambiamento è stato ancora più complesso”, rivela Sicca. “Avevo già condotto un progetto simile in un’altra azienda e sapevo che nel passaggio dalla carta ai workflow c’è un notevole impatto sugli utenti. E, in tutte le mie esperienze, si è confermato che le trasformazioni del genere non sono facili: c’è sempre una certa resistenza al cambiamento. Ma, una volta che il nuovo modo di fare è diventato ordinario, la modalità paperless è apparsa come insostituibile, perché molto più efficiente. Il sostegno è maturato anche con la comprensione dei vantaggi da parte degli utenti”.
Per questo Sicca si è adoperato nelle attività di informazione e formazione sul nuovo metodo, anche se ci sono casi in cui la resistenza permane.
“I progetti sono andati tutti a buon fine, ma qualcuno che rimpiange i metodi passati resta sempre”, sottolinea il CIO.
L’importanza della comunicazione
Per questo, come parte del change management, è importante non calare i progetti dall’alto, ma studiarli insieme agli utenti finali. La trasformazione digitale non deve essere un’imposizione, ma una scelta convinta.
“Fare trasformazione digitale oggi vuol dire, innanzitutto, creare un dialogo a due sensi tra IT e business e con le persone, che sono gli utenti finali delle tecnologie. Il CIO deve sempre tenere conto di quali sono le reali esigenze nell’usare le tecnologie e quali i problemi da superare”, afferma Pablo Fernando Ambrosy Carrera, Chief Digital and Innovation Officer dello studio legale full-service Portolano Cavallo, specializzato nei settori Digital-Media-Tech e Life Sciences-Healthcare. “Non ha senso creare un prodotto e proporlo dopo un anno di sviluppo e integrazione per poi scoprire che non è utile o non viene usato. L’IT deve procedere in base agli input che arrivano dal personale interno su tecnologie e processi. La voce dell’utente è importante”.
Dal punto di vista tecnologico, Ambrosy sta portando avanti una digitalizzazione già avviata dallo studio Portolano Cavallo, dotandosi di sistemi moderni come risultato di questo processo. In ogni caso, il lavoro del CIO deve avere un elemento fondante: garantire la continuità operativa pur nel cambiamento.
“Sono consapevole del fatto che, pur implementando nuovi prodotti per l’evoluzione digitale dello studio, le persone devono poter lavorare senza interruzioni penalizzanti”, sottolinea Ambrosy. “È importante anche tenere aggiornate le persone su che cosa si sta facendo e come la tecnologia migliorerà il lavoro di tutti: torno a insistere sul valore della comunicazione e del coinvolgimento”.
Attenzione puntata sull’AI
Non è dissimile l’esperienza di Stefano Bombara, Responsabile IT (Servizio Sistemi Tecnici) presso Crédit Agricole Vita. Per Crédit Agricole Assicurazioni e Crédit Agricole Vita (le compagnie di assicurazioni del Gruppo Crédit Agricole), la trasformazione digitale è iniziata da alcuni anni, coinvolgendo sia i processi interni che quelli usati all’esterno da intermediari e clienti. Finora la digitalizzazione si è focalizzata su efficientamento e automatizzazione dei processi, ma oggi entra in gioco l’AI e, ancora più che nel passato, richiede una forte sinergia IT-business e un intervento strutturato di formazione per accompagnare l’innovazione.
“Quest’anno intendiamo introdurre l’intelligenza artificiale nell’ambito della digitalizzazione del processo di gestione dei sinistri relativamente al ramo danni”, spiega Bombara. “Ancora più che per le altre tecnologie, l’AI è un’innovazione che viene introdotta non dall’IT da solo, ma insieme al business – in questo caso la Direzione Sinistri – per individuare i processi in cui applicarla, ovvero i casi d’uso dove possiamo produrre veri benefici di ottimizzazione e semplificazione per le attività core. L’intero progetto è accompagnato dalla formazione sulla metodologia e sul nuovo approccio culturale necessario: per me è un aspetto molto importante, perché permette di allineare le aspettative delle varie aree aziendali. Senza formazione comune non si capiscono le potenzialità né i vincoli dell’intelligenza artificiale”.
CA Vita e CA Assicurazioni stanno valutando l’adozione di metodologie GenAI. La roadmap verso l’intelligenza artificiale generativa include la condivisione di approcci, le proposte di use case da cui derivano i primi progetti pilota e la formazione di accompagnamento.
“Abbiamo in progetto di valutare le modalità di introduzione dell’AI in qualunque sua declinazione, dal deep learning alla GenAI, e definiremo la migliore modalità di formazione e coinvolgimento delle persone, oltre a individuare i casi d’uso vantaggiosi per il business”, dichiara Bombara.
Sono molte le imprese che stanno dedicando attenzione all’intelligenza artificiale, insieme agli altri progetti digitali, e ciò esalta le necessità di change management. Ambrosy evidenzia come la formazione sia imprescindibile soprattutto quando si introduce la GenAI e anche quando gli utenti interni hanno già forti competenze digitali, come accade per lo studio Portolano-Cavallo: bisogna sempre prevedere un accompagnamento e una governance.
“L’AI sarà il tema tecnologico dei prossimi anni”, secondo Sicca di Eurostampa. “Ma per noi ha senso solo se ci offre soluzioni verticali: non ci interessano i prodotti che non sono funzionali al nostro core business”.
In Italia troppa poca formazione per i manager
La tecnologia resta, dunque, un mezzo: la trasformazione è un’altra cosa e, come ci hanno ribadito questi e altri manager italiani, si realizza in modo continuativo gestendo il cambiamento dal punto di vista dei processi e della mentalità e strutturando percorsi di formazione.
È qui che le PMI italiane possono crescere. Secondo il più recente Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, almeno il 60% delle nostre piccole e medie imprese ritiene la formazione una priorità, sia per la transizione digitale sia per quella green. Ma il 37% non dispone di una programmazione delle attività formative e il 19% le programma ogni due o tre anni. Inoltre, per migliorare le competenze interne, il 30% delle PMI non si avvale della formazione formale (come corsi, webinar, fiere, eventi o job rotation). C’è un altro aspetto: la formazione non raggiunge capillarmente i manager.
“Oggi la formazione, finanziata e non, è diretta prevalentemente a operai e impiegati (oltre il 70% dei soggetti coinvolti) con connotati più vicini all’addestramento, ovvero l’uso di strumenti o di tecniche di lavoro, che alla formazione vera e propria. Invece, meno del 50% di quadri, figure apicali e imprenditori usufruisce di formazione”, sottolinea Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Polimi. “Eppure, per gli imprenditori e le figure apicali – che elaborano le strategie e decidono se e dove effettuare i finanziamenti – la mancanza formativa preclude la possibilità di stimolare l’elaborazione di nuove visioni. Trascurare i quadri, significa non far crescere coloro che sono deputati a fare da cinghia di trasmissione top-down e bottom-up, ostacolando un processo di apprendimento organizzativo più evoluto”.
In realtà, grazie ai provvedimenti collegati al PNRR e ad altre iniziative, esistono molti fondi a disposizione delle aziende per agevolare la formazione. Tuttavia, non sempre le imprese conoscono queste risorse e le procedure di accesso in molti casi risultano farraginose.
Un altro ostacolo emerge dalle ricerche dell’Osservatorio PMI: la scarsa complementarietà dell’ecosistema che ruota attorno al mondo delle PMI nel confezionare proposte formative integrate. Associazioni di categoria, professionisti, innovation hub e istituti finanziari dovrebbero collaborare più efficacemente per stimolare la domanda di formazione da parte delle imprese e guidarle verso un’adozione continuativa dello strumento più importante per la trasformazione digitale.
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