I CIO si trovano in una posizione unica per tracciare la strada verso la crescita e l’innovazione della loro azienda, hanno scritto [in inglese] gli analisti della società di consulenza Kearney. Molti direttori dell’IT italiani lo confermano: il CIO, in quanto capo della tecnologia in un’epoca in cui la digitalizzazione è ovunque, è l’unico manager che ha una visione complessiva della sua organizzazione, mentre gli altri ne vedono i singoli dipartimenti. Lo sguardo onnicomprensivo sui dati e i processi permette al CIO di guidare la trasformazione e l’innovazione – non solo digitale – della sua azienda in tandem con il CEO, il board o la proprietà. Questo ruolo si esalta oggi con la diffusione delle applicazioni di intelligenza artificiale, che richiedono una gestione dei dati e una governance trasversali e un diretto collegamento con i risultati finanziari.
Come ha sottolineato IDC, “La sinergia con le linee di business e l’adozione di tecnologie come l’intelligenza artificiale diventano essenziali per permettere al CIO di mettersi alla guida di una trasformazione radicale: spezzare i silos tra dipartimenti e promuovere un’organizzazione più agile, dove si collabora sui processi”.
“È facile per chi si occupa di digitale avere una visione a trecentosessanta gradi di come funziona l’ente”, ribadisce Massimo Bollati, direttore della trasformazione digitale dell’Agenzia del Demanio (ente pubblico economico responsabile della gestione, razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato). “E non c’è piano aziendale e strategico che non includa la digitalizzazione: il digitale è pervasivo. Molti CIO di grandi aziende private si occupano del funzionamento e dell’organizzazione delle loro società. Nella PA non è comune, ma il CIO, secondo me, deve avere questo ruolo”.
Leader strategico nell’AI everywhere
Nell’era dell’AI everywhere, dunque, il ruolo del CIO si evolve [in inglese] dalla pura supervisione dell’infrastruttura IT a forza trainante della collaborazione cross-funzionale. Ma questo accade solo se, a monte, si riconosce al CIO il ruolo che gli spetta, come evidenzia Sonia Belli, IT Director presso QubicaAMF Worldwide (il maggior produttore globale di attrezzature per il bowling).
“Un bravo Chief Information Officer sa fare da collante tra IT e business e mette in comunicazione i dipartimenti aziendali, ma deve essere visto dai vertici come figura strategica. Se il suo è considerato un ruolo tecnico non può entrare nei processi e nell’organizzazione aziendale”, afferma Belli. “La riprova è nell’organigramma: se il CIO riporta al CFO allora è ancora visto come centro di costo. Invece, se siede accanto al CEO e agli altri dirigenti esecutivi che definiscono le regole aziendali, allora ha un riconoscimento strategico e può impattare sulle decisioni”.
Gartner ha calcolato che, nelle imprese globali, il 52% delle iniziative digitali fallisce, ma, con un CIO strategico che collabora con gli altri top manager e fa da ponte tra le varie funzioni aziendali, il tasso di successo balza al 71%. Ne è sicuramente consapevole l’Agenzia del Demanio: quando Bollati è entrato nell’ente, tre anni fa, non esisteva la direzione per la trasformazione digitale, e le persone dell’IT erano distribuite sul territorio nazionale. Poi (su intuizione del direttore dell’Agenzia, Alessandra dal Verme) è nata la direzione con a capo Bollati e il team è stato, da un lato, accentrato, ma, dall’altro, in ogni funzione operativa è stato inserito un referente digitale che riporta a Bollati. Ed ecco creato il ponte tra IT e business.
Infatti, come direttore della trasformazione digitale, Bollati non si occupa solo di innovazione e governance dell’IT, ma anche di attività trasversali, tra cui il coordinamento e l’implementazione del Piano strategico dell’Agenzia, la revisione del Piano strategico e il PMO dell’Agenzia. Di fatto, Bollati dirige anche persone non IT: è un CIO che Gartner definirebbe “stratega”.
Il CIO diventa un knowledge manager
Spezzare i silos tra dipartimenti per poter innovare è anche una questione di gestione della conoscenza, sottolinea Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano.
“Oggi le imprese devono imparare a lavorare per processi e non per funzioni, perché è molto importante far circolare la conoscenza e non procedere a compartimenti stagni”, spiega l’esperto. “Una visione verticale rischia di essere un ostacolo”.
In questo contesto il ruolo del CIO e della tecnologia sono molto importanti al fine di migliorare sia l’integrazione interna, facilitando la circolazione delle informazioni, sia quella esterna con clienti e fornitori, per aumentare la velocità di trasmissione, condividere progetti e dati.
Questo è fondamentale nei progetti con l’AI o il cloud computing: sono iniziative di ampio respiro che richiedono la partecipazione di tutti: IT, marketing, sales, finance, HR e così via. Ogni gruppo deve lavorare verso lo stesso obiettivo e, per farlo, la conoscenza deve fluire liberamente tra i dipartimenti.
“Il Chief Information Officer è anche un knowledge manager in quanto intercetta la conoscenza prodotta, si collega con chi si occupa delle strategie per capire quali sono le urgenze e definisce il processo di gestione della conoscenza usando le tecnologie che ritiene più appropriate”, dichiara Rorato.
L’IT cambia la mentalità del business
Nicola Marra, responsabile IT di F.lli Veroni (produttore di salumi dal 1925), osserva che una delle maggiori sfide alla trasformazione digitale delle aziende è proprio allineare le persone – non solo dell’IT ma di tutta l’organizzazione – ai veloci progressi delle tecnologie per creare valore trasversalmente in tutti i dipartimenti, far evolvere la mentalità e, tendenzialmente, superare la separazione tra funzioni business e IT.
“Le varie funzioni aziendali oggi non agiscono più separatamente e l’IT può aiutare a comprendere e incorporare questa nuova mentalità e a spezzare i silos aziendali”, afferma Marra. “Il valore più grande che l’IT può portare al business è nei processi, perché aiuta l’azienda a ragionare in modo diverso”.
Un esempio molto attuale riguarda l’AI generativa: tutti ne parlano, ma per un CIO è importante che in azienda se ne capisca il reale valore e l’utilità per il business. Un’applicazione di GenAI non serve semplicemente per fare un riassunto o un post online: “Si rischia di relegare l’intelligenza artificiale a uno strumento per il marketing, quando il valore aggiunto è molto maggiore e trasversale”, sottolinea Marra.“Per questo fare formazione e aggiornamento continui è fondamentale”.
La trasformazione digitale di F.lli Veroni è passata attraverso diversi progetti, dal cloud di Google al MES in fabbrica alla digitalizzazione del ciclo passivo, che include le note spese digitali fornite da N2F. Ma il responsabile IT dell’azienda sottolinea che “Se si vuole portare avanti veramente la digitalizzazione bisogna digitalizzare tutto, non fare progetti a macchia di leopardo, e coinvolgere le persone in tutti i dipartimenti, compresi quelli dove si tende a restare ancorati ai vecchi processi”.
Secondo Marra spezzare i silos è la difficoltà più grande nella trasformazione digitale, ma anche l’opportunità da cui estrarre il valore maggiore.
Verso l’azienda data-driven
È proprio questa la promessa di un’organizzazione più fluida: trarre il massimo dalla digitalizzazione. Spesso nelle imprese ci si trova a digitalizzare per compartimenti stagni, ovvero ogni funzione acquista il suo prodotto e cerca di modernizzare i suoi processi, col risultato di creare ripetizioni e inefficienze. Il CIO perde il controllo e l’obiettivo della data-driven company si allontana, come osserva l’IT director di QubicaAMF, Sonia Belli.
“Se si digitalizza l’azienda a macchia di leopardo e con progetti slegati, non si riesce a condividere i dati, ma qui il CIO con il suo team delle business application può davvero fare da collante, centralizzando i costi e la gestione delle applicazioni, perché acquisisce conoscenza di quel che avviene nelle varie funzioni aziendali e le mette in comunicazione”, afferma la manager. “Armonizzando i progetti si evitano i dati ridondanti, inseriti molteplici volte e catalogati con nomi diversi, un’inefficienza che impedisce alle aziende di prendere decisioni data-driven, perché i dati non sono corretti, oltre a far salire i costi”.
È proprio questo il lavoro su cui si sta concentrando Belli nel percorso di trasformazione digitale di QubicaAMF: unificare e centralizzare applicazioni e piattaforme, per esempio, quelle con cui vengono gestite le commesse oppure gli ordini e gli acquisti. Questo permetterà di mettere in comunicazione le funzioni acquisti, amministrazione e ontrollo di gestione e dare a tutti dati comuni su cui effettuare analisi.
“L’IT è più che mai un enabler dei processi aziendali”, dichiara Belli. “Per esempio, l’introduzione di un gestionale, come un ERP, non è un progetto IT ma di business strategy, perché l’IT fa parlare persone e processi che altrimenti resterebbero isolati e contribuisce a spezzare i silos che, a sua volta, aumenta la qualità del dato e rende l’azienda data-driven. Quando i dati sono obiettivi e correlabili e si basano su una nomenclatura comune possono essere usati per prendere le decisioni”.
Spezzare i silos aziendali, vademecum per il CIO
Ci sono alcune buone pratiche che il Chief Information Officer può adottare per portare la sua azienda a superare i silos interni. Innanzitutto, occorre una strategia ponderata, basata sull’analisi delle strutture esistenti, dei flussi di informazioni e dei flussi di lavoro. Così si portano alla luce i colli di bottiglia e si apre la strada al loro superamento. Il CIO può anche fare leva sulla tecnologia per migliorare la comunicazione tra i dipartimenti. Al tempo stesso, il CIO dovrebbe costruire piattaforme facili da usare, tenendo presente che il loro utente non è solo una persona dell’IT ma anche di altre funzioni meno tecniche.
Un altro suggerimento, fornito dagli esperti di Gartner, è agire sul modo di pensare dei leader del business, mostrando loro come la tecnologia sia fonte di innovazione. Quando gli executive capiscono che è questo il valore dell’IT, non considerano più il dipartimento del CIO come un semplice service provider, ma come un partner che risolve problemi.
Terza buona prassi è formare le competenze digitali del personale non IT, sia per rendere queste persone più abili con gli strumenti tecnologici sia per permettere loro di avanzare idee e proporre innovazione.
“In questo contesto, il CIO svolge un ruolo cruciale e strategico per costruire e gestire un processo delicato, che organizza e preserva il patrimonio del ‘sapere’ aziendale”, commenta Rorato. “Potrebbe partire da una mappatura delle informazioni che entrano ed escono dall’azienda per poi catalogarle e normalizzarle, ovvero assegnare a ogni dato un nome univoco e riconosciuto da tutti, fino ad arrivare alla creazione del data lake”.
Oltre alla tecnologia, per superare l’organizzazione verticale e facilitare la circolazione della conoscenza, esistono anche meccanismi organizzativi (riunioni, gruppi di lavoro, bacheche interne, e così via). La difficoltà per questo genere di informazioni meno strutturate – evidenzia Rorato – riguarda l’immissione nel sistema di knowledge management, perché richiede, per esempio, l’individuazione di regole per il loro trattamento e di figure deputate al loro inserimento nel percorso della conoscenza.
“Il knowledge management non è senza costi, specialmente per le PMI, perché implica l’acquisto di tecnologie, la formazione di nuove competenze e la riassegnazione dei ruoli”, afferma Rorato. “Ma ci sono fonti di finanziamento a disposizione che spesso non sono conosciute e utilizzate e che risolverebbero questo problema. Inoltre, la capacità di coglierne l’utilità passa anche attraverso una crescita della cultura gestionale dell’impresa, che diventa tanto più urgente quanto più i provvedimenti normativi ragionano in termini di supply chain o di filiere”.
Nuovi stili di leadership
Per spezzare i silos aziendali servono anche la volontà e l’impegno dei vertici, che definiscono la strategia e il budget. E poi ci deve essere un cambio di mentalità all’interno del personale. In ogni caso, la comunicazione è il requisito-chiave del CIO, perché è così che può creare un collegamento trasversale.
“Il CIO può ottenere uno snellimento organizzativo rendendo più fluido il dialogo tra i vari dipartimenti grazie alle competenze di dialogo, empatia e comprensione dei processi delle varie aree”, commenta Tiziano Andreoli, Head of IT di BioNerviano SB Srl (parte di NMS Group) e Delegato per la Lombardia di CIO Club Italia. “Inoltre, il Chief Information Officer deve dimostrare capacità di visione innovativa che gli permette di proporre e promuovere soluzioni ‘disruptive’ e al tempo stesso efficaci per gli utenti aziendali”.
Non a caso, secondo IDC, il successo del CIO non dipenderà solo dalla capacità di collaborare, ma anche dall’abilità nell’abbracciare stili di leadership “paradossali”, bilanciando approcci apparentemente contrastanti: strategia ed esecuzione, innovazione e stabilità.
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