Più del 52% delle imprese in Italia continua ad avere difficoltà a trovare le figure professionali tecniche (tra cui gli informatici) di cui ha bisogno e il 48,5% fatica a reperire ingegneri. Il dato aggiornato a ottobre 2024 del Bollettino del Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, conferma le sfide vissute quotidianamente dai CIO del nostro Paese. La mancanza di candidati è la prima causa dei tempi lunghi per il reperimento delle figure ricercate, ma in alcuni casi i selezionatori lamentano anche una preparazione inadeguata, svela il Bollettino. Per questo i direttori dell’IT e del digitale in Italia si stanno impegnando, insieme all’HR, nelle strategie sui talenti puntando sulla formazione.
Trattenere i talenti nel 2024: primo imperativo, lo smart working
Anche offrire lo smart working è diventato decisivo, soprattutto per attrarre i candidati più giovani. Nel nostro Paese, nonostante dal primo aprile non esistano più le misure di lavoro remoto semplificato che obbligavano i datori di lavoro a consentire questa modalità per specifiche categorie, il numero di dipendenti a distanza, nel 2024, è rimasto pressoché invariato (3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023, -0,8%) ed è previsto in crescita del 5% nel 2025, pari a 3,75 milioni di lavoratori coinvolti, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Lo smart working cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge 1,91 milioni di lavoratori (+1,6% rispetto al 2023), vicino al picco della pandemia, con il 96% delle grandi organizzazioni che oggi hanno consolidato delle iniziative, mentre tende a calare nelle PMI.
Eppure per i lavoratori lo smart working è molto importante: in caso di eliminazione o riduzione del lavoro agile il 68% degli italiani rimarrebbe in azienda, ma inizierebbe a cercare un nuovo impiego, il 7% lo lascerebbe immediatamente, anche senza un’alternativa, e solo per il 14% non sarebbe un problema, secondo l’analisi della società di recruiting HAYS Italia, con il contributo dello Studio legale Daverio&Florio, condotta su professionisti che attualmente beneficiano del lavoro agile. Inoltre, il 45% degli italiani vorrebbe che fosse un diritto, mentre il 31% lo vede come un benefit aziendale.
In determinati ambiti e situazioni bisogna perciò necessariamente concedere il remote working, che, insieme al compenso, è il criterio in base al quale i candidati scelgono un datore di lavoro rispetto a un altro.
“Oggi il remote working permette di lavorare anche per aziende straniere restando quasi sempre a casa e beneficiando di stipendi più alti”, sottolinea Luca Balbo, Executive Manager della divisione di ICT & Digital di Hunters Group (società di ricerca e selezione di personale qualificato). “Di fronte alla difficoltà di attrarre talenti il CIO deve studiare il mercato, capire come funziona e cercare di non subirlo, ma usare la stessa moneta di scambio, ovvero offrire condizioni di lavoro flessibili ai candidati. La flessibilità lavorativa è davvero il beneficio più richiesto e apprezzato, perché le nuove generazioni danno molto valore al tempo libero”.
Ma c’è un altro fattore fondamentale di attraction and retention: offrire un progetto tecnologicamente avvincente.
“Bisogna essere innovativi, le persone scelgono un lavoro perché le appassiona e le stimola e lasciano i lavori che sono diventati noiosi e dove percepiscono di non avere più niente da imparare”, afferma Balbo.
Da questo punto di vista è emblematico il caso di AVR Group (società che si occupa di gestioni e manutenzioni stradali, autostradali e del verde, per conto di aziende private o pubbliche amministrazioni). L’azienda aveva un elevato tasso di ricambio e l’emergenza è stata affrontata, e vinta, proprio grazie a un direttore tecnologico che agisce da leader dell’innovazione.
“Le persone restano se vedono un futuro nella loro carriera e nella crescita professionale”, spiega Pierangelo Perdomi, CTO di AVR Group e responsabile della società AVR Tech, che copre i mercati Technology e Engineering. “Quando sono entrato in AVR, l’amministratore delegato mi ha chiesto di assumere il ruolo di Innovation Manager per introdurre delle novità importanti e migliorare la capacità dell’azienda di attrarre e trattenere i talenti. Avevamo un turnover elevato, non tanto nella parte IT, ma nelle unità operative di Software Development e Engineering, un ramo di attività che abbiamo fatto di recente confluire nello spin-off AVR Tech di cui sono responsabile. Le innovazioni nella gestione delle risorse umane sono partite da qui”.
Insieme alla dirigenza, il manager è intervenuto in due modi. Il primo è stato allineare l’offerta alle richieste del mercato, non solo sul posizionamento e sulla retribuzione delle varie figure professionali, ma anche sul welfare e nel work-life balance, importante soprattutto per i giovani della Generazione Z.
“Lo smart working a volte è un must. Io non amo il lavoro totalmente da remoto e l’azienda esige comunque dei momenti di incontro in persona, ma, se per una risorsa lo smart working è applicabile, bisogna concederlo”, dichiara Perdomi.
Lo smart working è stato introdotto per la prima volta in AVR l’anno scorso nella business unit Technology con un contratto integrativo differente per fasce di popolazione. Dal prossimo anno Perdomi prevede di estendere ulteriormente lo smart working, perché la divisione è fortemente cresciuta in numero (da 9 a oltre 80 persone, dopo l’incorporazione di circa 60 risorse interne e oltre 10 assunzioni) e sarà creato un meccanismo di prenotazione e rotazione delle postazioni in ufficio.
“Per un’azienda come la nostra non è necessario stare sempre in ufficio. Abbiamo un IT itinerante, che si occupa di assistenza sul campo nelle diverse sedi aziendali; per queste persone, in realtà, lo smart working non è sempre possibile. Invece, per le persone che si occupano di sviluppo, continueremo a prevedere fino a 3 giorni a settimana di lavoro remoto”, spiega Perdomi.
Fidelizzare i talenti nel 2024: progetti innovativi e formazione
Una seconda direttrice di intervento per la gestione delle risorse umane è stata l’attività di reskilling e upskilling delle risorse, sia per le persone dell’IT, con percorsi di formazione e certificazione sulle tecnologie importanti per il business di AVR Group, sia per chi si occupa dello sviluppo delle web app e che sono state guidate all’adozione del metodo Agile.
“Facciamo formazione continua e abbiamo anche introdotto il learning Friday come mezza giornata deputata alla formazione”, indica Perdomi.
Un ulteriore elemento della strategia è stata l’introduzione del performance management, che permette di gestire, tramite valutazioni obiettive, le prestazioni delle persone e valorizzare le figure che più si sono distinte per premiarle con una crescita economica e di carriera. Questo programma ha una sua pianificazione e anche un budget dedicato.
“L’insieme di queste iniziative ha ridotto il turnover”, riferisce Perdomi. “Oggi riusciamo a essere più attrattivi verso il mercato e siamo anche più efficaci nella comunicazione aziendale; per esempio, abbiamo rinnovato il linguaggio che usiamo nel pubblicizzare le posizioni aperte, indicando RAL, informazioni specifiche sulle attività e sul work-life balance aziendale”.
Il ruolo dell’AI come supporto all’HR e al CIO
L’aspetto del benessere del lavoratore e del bilanciamento con le esigenze della vita privata è altamente rilevante. Antonello Spinetti, fondatore e CEO di Begear (società tecnologica che fornisce servizi IT e risorse specializzate per aziende e system integrator), osserva: “Il mondo IT tende ad avere un altissimo turnover e lo avevamo anche noi. Siamo riusciti a mitigarlo con una semplice strategia: essere più presenti e vicini ai nostri dipendenti, ascoltando i loro bisogni e trasformandoli in opportunità. Questo – per una società come la nostra che ha 200 dipendenti – non è un compito da poco, ma ha davvero invertito la rotta e consolidato la fedeltà delle persone”.
Secondo Spinetti, infatti, dare un aumento sullo stipendio può convincere a restare in azienda, ma è ancora più incisivo avere persone che si sentono integrate e sposano la filosofia aziendale.
Anche l’intelligenza artificiale dà un contributo nell’attraction and retention. Anzi, per Begear l’AI è stata fondamentale nel mitigare il turnover agendo sull’elemento chiave della formazione.
“L’adozione del nostro prodotto di AI ci aiuta, perché effettua la mappatura delle competenze interne e propone corsi ad hoc per ampliare quelle competenze o colmare le lacune”, afferma Spinetti. “Per le persone avere delle occasioni di imparare è un grande fattore di engagement e retention. C’è anche l’avatar che coinvolge il dipendente con domande dirette per rilevare i suoi bisogni, e anche questo contribuisce a fidelizzare”.
L’intelligenza artificiale può dare anche un importante supporto all’HR nell’attività di ricerca e selezione del personale. Begear usa l’AI in questo ambito già da alcuni anni, sottolinea Spinetti. Proprio su suo impulso Begear ha creato una AI Factory interna, che ha sviluppato un software per velocizzare la ricerca e la selezione tra i curricula che la società riceve.
“Con un algoritmo vengono estrapolati i dati del CV e viene ricostruito il set di competenze del candidato. Questo, innanzitutto, ci aiuta a vagliare le candidature al ritmo di circa 5.000 in un’ora. Inoltre, l’AI crea un avatar in grado di intervistare il candidato e saggiarne sia le competenze hard che quelle soft, oggi estremamente rilevanti”, spiega Spinetti. “Questo processo affidato ad una piattaforma velocizza il lavoro per il nostro HR e dà un grande supporto anche al CIO”.
Il software permette a Begear di agire anche in maniera “proattiva”: le analisi sui CV, infatti, portano a capire quali sono gli esperti più richiesti e, sulla base di queste indicazioni, la società ha individuato una serie di tematiche chiave e organizzato corsi di formazione ad hoc che propone ai candidati dopo la selezione per completare la preparazione sulle competenze tecniche.
Il futuro del lavoro e il dialogo CIO-CEO
Tuttavia, per Spinetti, il problema della carenza di talenti e della difficoltà di attrarli è mal posto. Il primo punto è rispettare le dinamiche della domanda e dell’offerta e il secondo è pianificare le assunzioni, secondo il CEO di Begear.
“Le risorse umane sono sul mercato ed è il mercato che decide quanto costa un programmatore, un esperto di cloud, un data analyst, eccetera. I talenti vanno pagati”, precisa Spinetti. “Quanto alla scarsità, la prima soluzione è la pianificazione: bisogna sapere in anticipo di quali talenti necessita un progetto e non cominciare a cercare le persone in prossimità dell’avvio. Questo aiuta a trovare le risorse per tempo e a un prezzo più giusto. L’AI permette di capire quali competenze mancano in azienda e di agire prima che trovarle diventi urgente”.
Questo significa che il CIO deve giocare d’anticipo e lavorare a stretto contatto con i colleghi dell’HR, anche condividendo strumenti AI di supporto alla gestione dei talenti, dai software che automatizzano lo screening dei CV alle analisi sulle carenze di competenze in azienda fino alla programmazione dei percorsi di formazione. Inoltre, l’AI come strumento che contribuisce ad attrarre e trattenere risorse deve essere ben capito e abbracciato dal CEO a beneficio dell’intera azienda, aggiunge Spinetti.
“Non c’è una ricetta unica su chi deve evangelizzare il personale sull’uso dell’intelligenza artificiale in azienda”, rileva il manager. “Ogni caso è diverso, a volte interviene il CIO, a volte il Marketing, a volte il CEO e quest’ultimo deve comunque conoscere bene questa tecnologia e non temere che tolga lavoro: l’AI va accettata culturalmente, bisogna essere aperti all’innovazione”.
Spinetti riferisce che in Begear l’AI viene usata in diverse funzioni aziendali, tra cui l’IT per lo sviluppo software, ma ciò non fa sparire i programmatori: semplicemente li fa evolvere in professionisti che impartiscono prompt e controllano il lavoro dell’intelligenza artificiale.
Questo scenario di trasformazione – non sostituzione – del lavoro è condiviso dalla maggior parte degli analisti. Per esempio, il sondaggio “Future of Work Employees Survey” di IDC fa notare che, a fronte di lavori che si automatizzano, ne nasceranno altri a supporto di nuove necessità che accompagnano l’uso dell’AI, come gli AI Prompt Engineers citati da Spinetti o gli AI Ethics Specialists. Per questo il compito del CIO – e delle imprese in genere – è provvedere all’aggiornamento delle competenze interne, in modo da non farsi trovare impreparati di fronte ai cambiamenti e avere sempre risorse competitive. Come indica IDC, il futuro del lavoro non è dell’AI ma delle persone che sanno lavorare usandola bene.
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