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3 esempi che dimostrano come il CIO stia diventando un architetto dell’innovazione

Il CIO ha le potenzialità per modernizzare non solo l’IT, ma l’intera organizzazione, spezzando i silos tra le varie funzioni e diventando un architetto di innovazione a tutto campo, ovvero un manager che abbraccia con le sue conoscenze e strategie tutta l’azienda, i suoi processi e le risorse umane. Almeno nella metà delle imprese questa rivoluzione del Chief Information Officer innovatore è già in atto, secondo IDC, grazie a manager dell’IT con forti capacità di leadership e di collaborazione con gli altri dipartimenti.

“Il nuovo compito del CIO è organizzare e incanalare le innovazioni che arrivano dal basso e che si fanno insieme al business”, afferma Angelo Ruggiero, Head of IT di Unilever Italy (ramo italiano della multinazionale britannica dei beni di consumo). “Perciò ruolo e responsabilità del team IT sono quelli di mettere in relazione i vari reparti di business e i team locali con quelli globali”.

Anche per Marco Mazzucco di Davines Group il collegamento tra IT e business è essenziale. Mazzucco è stato assunto nel 2019 dalla multinazionale italiana della cosmetica professionale esattamente con il nuovo ruolo di Chief Digital & Innovation Officer, che risponde all’Amministratore Delegato e che sottolinea la volontà di dare all’innovazione una rilevanza strategica. Mazzucco dirige tre aree: quella ICT in senso stretto, quella per l’e-commerce e un’altra dedicata all’innovazione complessiva di Davines.

“L’idea dell’azienda era di avere un unico manager alla guida della trasformazione digitale e che sapesse agire da sprone all’innovazione aziendale”, spiega Mazzucco.

Per Mazzucco la parte dell’IT tradizionale è quella preponderante in termini di impegno, ma anche quella che supervisiona l’e-commerce è particolarmente rilevante. In ogni caso, l’IT ha il ruolo di “abilitatore” e si occupa della strategia tecnologica, dei software da implementare, delle integrazioni e della user experience. C’è poi la parte di innovazione tout court, ovvero quella che ha l’obiettivo di supportare tutta l’azienda nell’essere più innovativa, sia con le tecnologie – tra cui l’AI – sia a livello organizzativo.

“Dal 2024 mi occupo anche di evoluzione dell’organizzazione aziendale, insieme al COO e al Direttore HR, e questo è un compito davvero nuovo per un CIO”, evidenzia Mazzucco.

Il CIO alla guida dell’innovazione aziendale

Mazzucco sottolinea come l’innovazione abbia connotati molteplici. Può riguardare compiti più quotidiani, come gestire i team in modo diverso o fare brainstorming in modo più efficace, ma anche progetti più disruptive come quelli a cui Davines si dedicando adesso: l’azienda vorrebbe diventare un corporate venture builder per dar vita a piccole startup dedicate a soluzioni molto verticali. 

“Alcuni CIO stanno già ragionando in quest’ottica, perché molto spesso queste startup portano innovazione grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali. È un modo con il quale il ruolo del Chief Information Officer può crescere ed essere driver di cambiamento e innovazione”, dichiara Mazzucco.

Per il manager e la sua azienda la parte Innovation è innovazione tout court, e a volte le tecnologie non entrano nemmeno nel quadro. Questa è un’interpretazione inedita del ruolo del CIO, ma non sorprendente: il Chief Information Officer, come sottolinea Mazzucco, ha una visione totale dell’azienda.

“Ne conosce ogni aspetto e processo, al contrario delle altre funzioni che sono più verticali”, osserva il manager. “Questa sua visione complessiva gli permette di conoscere le esigenze di tutti e di fare innovazione a tutto campo, incidendo anche sui modelli di business”. 

L’open innovation e il ruolo delle startup

Per esempio, all’interno dell’area innovazione, Mazzucco sta conducendo i progetti AI, che implicano anche un percorso culturale di avvicinamento alla nuova tecnologia e di coinvolgimento delle persone. Inoltre, il suo team dà supporto alle aree che innovano, come R&D, marketing e sostenibilità, aprendo dei canali verso l’esterno e verso il mondo delle startup, abilitando percorsi di open innovation.

Non è una scelta isolata tra le imprese italiane: l’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano conferma la crescita del ruolo delle startup nell’influenzare le nostre aziende in termini di stimoli e informazioni per l’innovazione digitale. Nel 2024, il 27% delle imprese italiane ha indicato le startup tra i primi tre “influencer”, contro il 10% del 2018; nel 2027, si prevede, le startup saliranno al 36%, superando tutte le altre fonti di stimoli interni ed esterni all’innovazione.

“Ciò testimonia la crescente centralità delle startup nel panorama dell’innovazione e dimostra quanto l’approccio di open innovation abbia prodotto i suoi frutti nell’arricchire l’ecosistema di innovazione e le fonti accessibili alle imprese”, evidenzia Alessandra Luksch, Direttore dell’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano. “Vendor, Sourcer ICT e clienti esterni mantengono un ruolo importante, ma il focus si sposta progressivamente verso attori più dinamici e orientati alla creazione di valore attraverso nuovi paradigmi tecnologici. L’attenzione crescente verso le imprese innovative e altre figure emergenti riflette un’evoluzione verso un approccio più aperto e collaborativo, dove l’ecosistema dell’innovazione gioca un ruolo cruciale nel guidare il cambiamento e l’adattamento ai contesti di mercato in continua evoluzione”.

I laboratori di innovazione interni

Ovviamente, le fonti interne di stimolo all’innovazione restano molto rilevanti: secondo l’Osservatorio del Polimi, il top management, le funzioni aziendali e le unità interne di ricerca e sviluppo forniscono e continueranno a fornire input importanti.

Un esempio è Cisalfa Group, dove esiste una precisa area che funziona anche da laboratorio di innovazione: l’azienda ha lanciato a inizio 2024 il sito di e-commerce intersport.it, un concept che permette al team digitale di Cisalfa Group di sperimentare nuove tecnologie da portare eventualmente anche sull’e-commerce cisalfasport.it. 

“È un nuovo business che ci sta dando risultati gratificanti e ci fornisce una piattaforma dove sperimentare”, afferma Francesco Gasca, Digital Director del gruppo. “Per esempio, in roadmap al momento abbiamo un chatbot alimentato con l’AI che prima testeremo su intersport.it, che rappresenta un secondo canale e-commerce, minore ma ugualmente reale, dove le iniziative di innovazione sono molto più che un laboratorio teorico; poi, se darà gli esiti previsti, potremmo considerare una soluzione simile anche per il sito principale”.

La governance del cambiamento

Anche Unilever innova tramite un suo laboratorio interno, ma, essendo una multinazionale, la struttura è globale e le iniziative delle varie filiali nazionali convergono sotto l’ombrello di una governance comune.

“Facciamo molta innovazione”, spiega Ruggiero, “ma all’interno di un territorio definito e con regole precise appoggiandoci a una factory globale. Bilanciamo così la spinta a innovare in piena libertà con l’attenzione agli aspetti legali, di privacy dei dati e di cybersicurezza”. 

La factory dell’innovazione di Unilever è un punto unico cui le varie filiali locali possono accedere o per attingere a novità già approvate e validate – favorendo il riuso di applicazioni tra le filiali – o per proporre e far vagliare le loro innovazioni. 

“Ogni country può sperimentare qualche soluzione innovativa con un PoC e sottoporlo alla factory prima di metterlo in produzione: quest’ultima controlla la governance e la compliance”, precisa Ruggiero. “Il compito del CIO, perciò, è quello di supportare l’innovazione nella propria country e fare da collegamento tra la sua filiale e la factory globale, dove ci sono persone dell’IT ma anche di altri dipartimenti, perché l’innovazione proposta non solo deve funzionare dal punto di vista tecnico, ma deve essere coerente con gli obiettivi di business del singolo mercato. La bravura del CIO è candidare progetti che allineano IT e business”.

Un progetto partito dall’Italia in cui Ruggiero ha fatto da “architetto di innovazione”, ovvero da ponte con la factory, riguarda la realizzazione di una web app con tecnologia AI per raccogliere i dati sul mercato HORECA con l’obiettivo di migliorare le vendite e razionalizzare gli spostamenti per le consegne, con un impatto positivo anche sulla sostenibilità ambientale.  

“In queste applicazioni AI si usano dati esterni all’azienda e c’è particolare bisogno di essere attenti alla governance: per questo interviene la factory, che ci garantisce la conformità al GDPR, alle regole sulla cybersecurity, legal, e così via”, sottolinea Ruggiero.

I nuovi team IT

Mazzucco dichiara che “Un CIO che fa innovazione a tutto campo ha il potere di trasformare l’azienda, perché l’innovazione è un’unione di tecnologie, persone e processi”. Ma, aggiunge il Chief Digital & Innovation Officer di Davines Group, “per essere questo tipo di CIO bisogna avere competenze in tutte e tre queste aree e lavorare bene con gli altri manager. Occorre formare un team di persone in grado di gestire bene la complessità e capaci di comunicare e collaborare con le altre aree aziendali”.

Anche per Ruggiero di Unilever Italy la collaborazione tra le varie funzioni aziendali è cruciale e il Chief Information Officer ha un ruolo chiave nello spezzare i silos interni. È un altro modo di interpretare l’open innovation: non è più solo l’IT che propone e il business che segue a ruota, ma anche il business può generare innovazione.

“Va considerato che oggi l’IT è diventato liquido, ovvero è uscito dai confini del dipartimento del CIO ed è entrato nelle altre funzioni, facilitando l’integrazione”, sottolinea Ruggiero.

A sua volta l’IT assume caratteristiche da funzione business. Nel caso di Ruggiero, poi, il team IT è costituito da persone che hanno competenze nel project management e conoscono bene la governance aziendale, mentre per i compiti più strettamente IT – come lo sviluppo – l’azienda si appoggia a società esterne.

Anche Mazzucco di Davines ha una squadra di project manager, non sviluppatori: l’attività puramente tecnica viene demandata all’esterno, mentre l’IT interno assume un ruolo più strategico. Il team è nutrito (23 collaboratori) e serve a supportare la crescita del gruppo, i requisiti di compliance e l’attività internazionale. L’azienda si sta digitalizzando velocemente: ogni anno viene avviata una quarantina di nuovi progetti, tutti con una strategia tecnologica cloud-first. Ma, ribadisce Mazzucco, “I progetti di digitalizzazione non sono solo progetti tecnici: sono innanzitutto di cambiamento e con importanti aspetti umani e regolatori”. 

In questo scenario il CIO ha il compito di giocare le carte del manager che spinge l’organizzazione oltre i confini della comfort zone.

“L’ostacolo alla trasformazione è il focus sulle attività correnti, ovvero la mera, quanto imprescindibile, gestione dell’esistente. Invece l’IT deve mettere il focus principale sulla gestione delle discontinuità (ovvero la digitalizzazione), mentre il resto del business si concentra in gran parte sulla continuità”, secondo Mazzucco.

Stimolando creatività e collaborazione, il Chief Information Officer può diffondere nell’azienda, a tutti i livelli, la nozione dell’importanza dell’innovazione e alimentare una cultura organizzativa orientata al cambiamento. Nel 23mo State of the CIO survey di Foundry [in inglese] l’88% dei manager interpellati ha dichiarato che il proprio ruolo è sempre più concentrato sul digitale e l’innovazione, l’87% è più coinvolto dei loro pari del business nelle iniziative di trasformazione digitale e l’85% concorda con l’affermazione che il CIO sta diventando un “changemaker”, ovvero colui che rende il cambiamento possibile, perché è sempre più spesso alla guida delle iniziative sia tecnologiche che di business.


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Source: News

Category: NewsJanuary 28, 2025
Tags: art

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